La credenza del gatto nero

Il gatto mammone i gattini e le fate in "La bella Caterina" e "Le tre fate"

Stampa in cui popolane ascoltano racconti da un demone.

Il gatto mammone

Il gatto mammone, un gatto che di solito presiede all'operato di altri gatti, è presente nel racconto popolare "La bella Caterina(da La Novellaja fiorentina, XV, di Vittorio Imbriani), chiamato pure la "Novella de gatti". In questo racconto protagonista è Caterina, la bella figliola, ed anche umile e cortese, che ha una sorella brutta, ed anche saccente e scortese. La loro madre ama di più la figlia brutta, che nel racconto non ha nemmeno un nome. La madre manda Caterina dalle fate a farsi prestare il setaccio perchè è risaputo che queste fate sono cattive e chi và da loro ritorna malmessa e piena di graffi. Caterina si avvia, verso il bosco dove abitano le fate, visibilmente triste. Incontra un vecchietto e gli confida le sue preoccupazioni. Il vecchietto la rincuora e gli da dei preziosi consigli. Disse il Vecchietto: - "Non abbiate paura di nulla. V'insegnerò io com'avete da condurvi. E se m'ascolterete, non ve n'avrete da pentirvene. Ma prima ditemi un po' che cosa ho qui 'n capo, che mi sento tanto prudere." - Il Vecchietto piegò un tantino la testa.
E avendogliela la Caterina esaminata, disse: - "Ci veggo perle ed oro." - Disse il Vecchietto: - "E perle ed oro toccheranno anche a voi." Il vecchietto gli consigliò di fornirsi di uno stecchetto e di mettere quello nel buco della serratura, e non il dito, quando alla porta di casa delle fate glielo avrebbero chiesto. Le consigliò pure di essere servizievole verso dei gattini che lavorano come sartine e verso gattini che lavorano in cucina, di scegliere come vestiario proposto sempre quello più andante, o come cibo, quello meno raffinato, infine di non salire le scale senza essersi tolte le scarpe.
Caterina si avvia fiduciosa e si comporta come le aveva consiglato il vecchietto. Dopo aver aiutato i gattini della sartoria e i gattini della cucina si presenta a lei il gatto mammone e tutti i gattini a dirgli che la ragazza è stata di aiuto. Poi il gatto mammone le chiede se vuole mangiare pane nero e cipolla o preferisce pane bianco e cacio. E caterina sceglie pane nero e cipolle, mentre il gatto mammone le porge da mangiare pane bianco e cacio. Poi il gatto mammone le fece salire le scale di vetro affinchè si scegliesse abiti belli e con oro, oppure abiti brutti e con ottone. Caterina prima di salire le scale si levò gli zoccoli e salì con passo lieve la scala; arrivata al piano superiore scelse abiti brutti con ottone. Ma il gatto mammone comandò alle fate di vestirla con abiti belli e gioie d'oro. A Caterina ben vestita e ingioiellata viene consegnato il setaccio dal gatto Mammone che, accomiatandosi, le consiglia, quando sarà fuori della porta, di non voltarsi al raglio dell'asino, ma di voltarsi a canto del gallo. Caterina segue il consiglio e dopo essersi voltata al canto del gallo le spunta una stella in fronte.
Appena arrivata a casa la madre e la sorella non credono ai loro occhi e, per avere la stessa sorte di Caterina, la sorella si propone di andare lei stessa l'indomani a riportare il setaccio alle fate.
L'indomani la brutta incontra il vecchietto e gli fa delle sgarberie; per cui non riceve alcun buon consiglio. Mette un dito nel buco della serratura della porta delle fate quando sente che le dicono di fare così. E allora gli si stacca una falange del dito. Entrata in casa comincia a prendere in giro i gattini e piuttosto che aiutarli nel lavoro, li danneggia. Non appena viene gatto mammone tutti i gattini dicono male della brutta sorella di Caterina. La brutta fa tutto il contrario che aveva fatto Caterina, ma le viene dato da mangiare pane nero e cipolle e le vengono dati dei vestiti brutti con ottoni per ornamento, cioè il contrario di ciò che aveva chiesto. Poi sale le scale di vetro con gli zoccoli e le rovina. Il gatto mammone prima che se ne vada le dice di non voltarsi indietro quando canta il gallo, ma di voltarsi indietro quando raglia l'asino per vedere una cosa bella. La brutta esegue il consiglio del gatto mammone ansiosa di vedere la cosa bella. Quando fece ciò le crebbe in fronte una coda d'asino.
Il figlio del re s'innamora di Caterina, fattasi bella dopo la visita alle fate, e ne chiede la mano. La madre nasconde Caterina in cantina, chiudendola in un tino, e presenta la figlia brutta al figlio del re come fosse Caterina, dopo averle rasato e tolto dalla fronte la coda d'asino e dopo averle avvolto la testa con un fitto velo. Ma Caterina canta una canzoncina che il figlio del re riesce ad ascoltare. Pertanto si cerca da dove viene quella voce e si ritrova Caterina. Il figlio del re e Caterina si sposano e la madre e la sorella brutta e scortese vengono infilate in una pentola piena d'olio bollente e muoiono.
In una fiaba molto simile a questa, "Le tre fate"(Pentamerone di Giovanbattista Basile, III giornata cunto X), Una vedova rosa dall'invidia, Caradonia, con una figlia particolarmente brutta di aspetto e scortese nei modi, di nome Grannizia, sposa un vedovo che ha una figlia bellissima di nome Cicella. Caradonia coccola la figlia Grannizia e strapazza di lavoro Cicella. Cicella ha anche il compito di buttare la spazzatura. La poca spazzatura che allora si produceva era buttata, secondo il cunto del Basile, in un dirupo. Un giorno a Cicella, lanciando la spazzatura dall'alto del dirupo, sfugge il cofano. Cicella scorge laggiù un tipo orrendo a vedersi, simile ad Esopo(si è tramandato che fosse scuro di carnagione e deforme lo scrittore delle note favole)o a una pittura del diavolo. Cicella lo chiama "buonuomo" e gli chiede se le può porgere quel cestello. Quello di giù le grida di venirselo a prendere. Cicella scende e trova tre bellissime fate. Grosso modo Cicella si comporta con loro come Caterina, nella fiaba sopra citata, si comporta col vecchietto che gli ha dato dei buoni consigli e con i gattini. Non c'è il gatto mammone, che ordinava, dava disposizione alle fate nel racconto di Caterina; piuttosto si intravede un deforme, un demone, probabilmente un residuo del "nano" o "deforme"(tipo Efesto) che accompagna la "Grande Madre" nel suo triplice aspetto. Mentre i gattini possono rievocare i nani teneri di alcune fiabe. In questo cunto del Basile c'è un gatto soriano "aiutante". Questo gatto parla e rivela a Cuosemo, il signore di alto grado innamoratosi di Cicella, dove ella è nascosta. Stesso finale maledetto per madre-matrigna e sorella-sorellastra.
Al di là del significato della parola "mammone" è innegabile che questo tipo di fiabe provenga dal disgregarsi di riti iniziatici di passaggio di società che presentavano una netta separazione tra gli iniziati e coloro che non lo erano. In questi due racconti, fra l'altro si sono fusi elementi dei riti di passaggio sia femminile, sia maschile. Anzi direi che per quanto riguarda il rituale maschile, si tratterebbe di una antica usanza di tipo nuziale: l'uso che voleva che il fidanzato avesse un qualche tipo di rapporto con una persona appartenente al clan o sottoclan della sposa. Per esempio presso i Bororo del Brasile un componente del clan della sposa in una cerimonia rituale pone l'astuccio penico al promesso della sposa. Ma probabilmente nel caso del cunto del Basile, se si deve dare retta ai nomi dati ai personaggi, Cicella è la sorella minore di Grannizia, nome quest'ultimo che indica la sua anzianità. Nel racconto biblico Giacobbe fu costretto a sposare la sorella più anziana di Rachele, cioè Lia, fra l'altro con problemi agli occhi. Nel caso che la madre della "brutta" della fiaba sia una vedova risposata, la significazione della repulsione di sposarne la figlia probabilmente sta nella bruttezza di tipo morale della madre: infatti fino a non molto tempo fa una vedova che si risposava era guardata di malocchio e per celia si abbandonavano sotto le sue finestre delle gatte. Cioè, la bruttezza della figlia riflette il malvisto costume della madre: e, come si dice, "tale la madre, tale la figlia".
L'andare giù di Cicella probabilmente riflette, più che un antichissimo rito iniziatico(di cui è rimasta solo la struttura), una pratica agraria, cioè l'uso delle leguminose nel maggese verde. Cicella quindi indica i ceci come pianta coltivata nei campi cerealicoli nel cosidetto anno di riposo o maggese. Nell'anno di maggese verde con coltivazione di leguminose, Columella (esperto agrario sul campo del I secolo d.C.) consigliava come prima operazione l'ngrassatura della terra con sterco animale e altro materiale vegetale. Cicella è quindi una sorta di Persefone che va nel mondo infero e da portatrice di spazzatura(un tempo la spazzatura proveniente dalle case doveva essere prevalentemente "umido organico", cioè era buona per essere mischiata con altro materiale e sterco e servire da ingrassante per la terra), da terra sterile, si eleva fino a meritare la stella in fronte(anche a Cicella le fate fanno avere una stella in testa), e diventa pronta per diventare madre prolifica.
Nella fiaba fiorentina fanno da tramite alle fate i gattini e soprattutto il gatto mammone. Se mettiamo insieme il deforme, stile Esopo, del cunto del Basile e il gatto mammone che comunica e informa le fate, si può dire che essi rappresentano la magia demoniaca, catactonia, infera, simili a una divinità infera come Hades o forse un antico Efesto. Ed è proprio il gatto mammone che da un consiglio a Caterina, quasi pari a quello che diede Hades a Orfeo. Il consiglio che da il gatto mammone è praticamente quello di non voltarsi, se non al canto del gallo, cioè, se non all'alba, all'inizio della luce, quando finisce il regno della notte, spesso inteso come regno dei morti. Invece alla sorella di Caterina da un non-consiglio perchè rincorre valori effimeri come la bellezza delle cose materiali, l'apparenza. E gli sorge in testa, non una stella, ma una coda d'asino, cioè un qualcosa completamente fuori posto, mentre a Grannizia sorge sulla fronte un testicolo d'asino.
Probabilmente questo racconto quando nacque doveva essere una sorta di enigma. Alla fine del racconto gli ascoltatori dovevano indovinare chi, che cosa rappresentassero Cicella e Grannizia: ovviamente in origine dovevano avere altri nomi. La risposta doveva essere la leguminosa per Cicella e un'erba cattiva e maleodorante per Grannizia. Per Grannizia la fine nel fuoco era inevitabile. Grannizia e la sorella brutta di Caterina possono essere viste, oppure hanno ereditato, qualche attributo dei personaggi facenti funzione della "falsa sposa" come già evidenziato nella pagina in cui parlo dei Bororo del Brasile.
E ora passiamo al significato di "mammone". Il significato migliore è quello quasi letterale: cioè "servo della Grande Madre". E spesso i servitori della Grande Madre sono deformi, nani. Perchè la religione della Grande Madre cercò di valorizzare anche i figli meno belli, meno adatti per la guerra. La stessa Era, la moglie di Zeus, avrebbe voluto come "servitore" nell'Olimpo, il figlio zoppo Efesto, ma Zeus per quelle mansioni scelse Ganimede. Della fiaba dei gatti si è occupato Italo Calvino(Fiabe italiane, La fiaba dei gatti, n°129), il quale nota come questa comunità dei gatti, che fanno lavori femminili, è presentata come una sorta di società perfetta, laboriosa e giusta.
Probabilmente questo tipo di società dovrebbe rappresentare un residuo di antichissime concezioni dell'oltretomba in cui il problema non era la morte o il destino dopo la morte, ma la sorte che ogni creatura, sia essa pianta, animale o essere umano avrebbe avuto alla nascita o nei primi anni di vita. Gatto "mammone" e fate in questi racconti prospettano un modello di vita molto vicino ai valori di una cultura contadina. E' possibile che l'originario modello di questà società fosse quello dell'alveare collegato a sua sua volta con il mondo dei morti giusti, benefici e anche soppesatori dei comportamenti degli uomini. Siamo quindi vicini a una religiosità che gira attorno alla madre-terra. Ne sono protagonisti, però, i lavoratori, probabilmente gli antichi lavoratori che vivevano in condizioni di semischiavitù. I guerrieri guardavano dall'alto in basso questi lavoratori sia perchè inizialmente furono schiavi, sia perchè tra loro, nelle professioni in cui non serve una grande mobilità, come tra i fabbri e i gli esploratori delle miniere, erano ammesse persone con qualche difetto e comunque in grado di lavorare. Probabilmente tutto quello che ci è pervenuto su un certo tipo di religiosità naturalistica che esaltava le qualità naturali della donna e quindi la capacità nutritiva della terra-madre, è a noi pervenuto attraverso il filtro di una religione patriarcale che considerava per lo meno gorgoniche quelle manifestazioni e che ne metteva in evidenza il lato ridicolo, il lato meramente fisico. Anche presso gli antichi ebrei i cosidetti "evirati" non potevano diventare sacerdoti, quindi anche loro erano considerati deformi, "nani", come si evince da una brano del Levitico(21).
Poi i Greci o meglio la religione di Zeus chiamò "nani" coloro che venivano presi da "hybris", da tracotanza, da comportamento quasi animalesco, vedi Aiace d'Oileo, vedi Tideo, vedi l'Eracle pazzo, vedi Aiace Telamonio, divenuto pazzo, di cui è giunta notizia che il suo corpo non salì sul fuoco delle pire, ma fu sempicemente sotterrato, a testimonianza del suo legame con la terra, piuttosto che col cielo. Nonostante questo declassamento della Grande Madre, la dea che domina i tre regni, ebbe sacerdoti a lei fortemente connessi, cioè sacerdoti che cercavano di raggiungere il suo grado di spiritualità con la castrazione, cioè i sacerdoti Galli della dea Cibele nell'Asia Minore.
Nella fiaba toscana il gatto mammone sembra assumere il compito di mediatore tra l'eroina e le tre fate ed è il capo dei gattini che fanno lavori usualmente famminili. E' un personaggio tipico del mondo dei morti, quindi della Dea antica o della dea delle classi ai margini della società; un personaggio che giudica l'iniziato dal suo comportamento e gli da, in concorso con le tre fate, una sorte.
Il messaggio educativo di questi racconti, a prescindere dalla loro diacronia(rito iniziatico e mito agrario), è quello di indicare alle ragazze e in genere a tutte le menti in formazione che è molto pericoloso portar vanto dei propri talenti. La bellezza non è solo un fatto naturale, dipendente dalla nascita, ma è conquista, acquisizione dei modi per essere accettati dalla società civile, per essere accettati da un partner. Anche le persone baciate da Afrodite a volte sono scontrose perchè egocentriche, si sentono sempre al centro e guardano dall'alto. Nella fiaba dei gatti Caterina acquista la stella e il vaglio, cioè acquista la capacità di discernere, di comprendere, di differenziare il comportamento; invece la sorella non ha stella e riporta indietro il vaglio, cioè non cresce; ma non diremo mai che rimane nana, perchè in effetti anche lei cresce, ma come una pianta senza il dovuto sostegno. C'è un proverbio popolare o un modo di dire delle nostre nonne, non ricordato per la verità oggi(non l'ho trovato nemmeno su internet, su Google)riguardante la capacità seduttiva delle donne alla ricerca del marito: "Se la bellezza incanta, sono i modi che fanno impazzire!". Quindi la tradizione popolare sprona le ragazze meno belle ad acquisire modi gentili, e infatti i seguenti proverbi o modi di dire illuminano:
1)La donna bella si fa pretendere mentre la brutta trova marito.
2)Brutta di faccia ma buona dentro.
3)La donna brutta trova prima il marito.


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