La novellatrice Agatuzza Messia.


Nei racconti popolari l'eroe sconfigge il mostro.

Agatuzza Messia, palermitana del "Borgo vecchio", novellatrice-modello di Giuseppe Pitrè. Benchè analfabeta, è più che giusto riconoscerle le grandi doti di narratrice e di interprete di racconti popolari. Nei personaggi dei suoi racconti la microstoria di Palermo dai primi del 700 fino ai primi dell'800.


Nei racconti popopolari il pappagallo e' un cantastorie.

Racconto cornice de "Lu pappagaddu chi cunta tri cunti"

Agatuzza Messia fu certamente una "cristiana praticante", ma i suoi racconti portano i segni, il crisma, la dottrina del cristianesimo? Non sempre.In due racconti entra in gioco il demonio, chiamato "cucinu"(cugino). . Mi riferisco ai racconti "Lu pappagaddu chi cunta tri cunti" e "Pilusedda". In questi racconti chi pratica il demonio e gli promette la sua anima non finisce sul rogo o meglio non viene condannato. Addirittura nel racconto che fa da cornice a "Lu pappagaddu chi cunta tri cunti" ha la meglio proprio il notaio che ha venduto l'anima al demonio. Infatti il notaio viene trasformato in pappagallo dal demonio(cucinu del notaio)affinchè raggiunga il suo scopo in una scomessa lanciata insieme a un "cavaliere":parlare o attaccare relazione con la giovane e avvenente moglie di un commerciante assente perchè impegnato in un grosso commercio, prima che lo faccia il cavaliere. La donna, rinchiusa in casa dal marito, è stata vista dal notaio e da un cavaliere mentre era affacciata alla finestra:cavaliere e notaio fanno allora una scommessa, il primo dei due che riuscirà a parlare con quella bella giovane, quasi murata in casa, riceverà dall'altro 400 onze, una fortuna.Il notaio, prima come "pappagallo" che racconta cunti fascinosi, fa in modo che la moglie del negoziante rimanga in casa ad ascoltare i suoi racconti piuttosto che andare a vedere la santa messa in chiesa dove c'è il cavaliere, suo contendente; in seguito, sempre come pappagallo, uccide il marito della giovane rientrato dopo aver compiuto il grosso commercio, schizzandogli negli occhi dell'acqua di brodo e colpendolo mortalmente alla gola; infine sposando la giovane vedova del negoziante e riscuotendo il pattuito della scommessa. Evidentemente in questo racconto i valori correnti cristiani vengono disattesi; viene esaltata la forza del racconto e, inconsapevolmente, viene fatto un quadro delle potenze che agiscono nel sociale dal punto di vista del popolo, del popolo ritenuto a torto ingenuo. Il 'cavaliere', cioè i nobili e la proprietà terriera(ritengo che il "cavaliere" deve ritenersi un nobile per il fatto che scomette 400 onze) , va in deficit, è perdente e paga la scommessa al 'notaio'; costui rappresenta la forza emergente, e dietro la sua figura professionale, che riscuote nel suo banco-ufficio le cambiali che scadono(è possibile che i popolani colleghino il notaio al mondo della finanza, delle banche che prestano soldi), viene intravisto un potere demoniaco, inattaccabile o quasi perchè retto da persone che hanno venduto l'anima per parteciparvi(colui che scrive ritiene che il termine 'cucinu',cugino in italiano, dato al demonio, presupponga una rete estesa di rapporti assolutamente poco chiari). E questo potere detiene anche la forza del racconto, cioè del discorso avvincente e convincente, mentre il discorso clericale, la messa cristiana perde attrattiva. A questo proposito c'è da aggiungere che mentre l'aiutante del notaio è il demonio, l'aiutante del cavaliere è una vecchia incontrata per caso.Questa vecchia, offertasi come ruffiana, sfrutta la carta della santa messa cristiana, obbligatoria nei giorni festivi, messa proposta come pratica salva anima: cioè invita la moglie del negoziante a uscire di casa per andare a messa in chiesa; una scusa, in realtà per propiziarne l'incontro col cavaliere.Ma la moglie del negoziante preferisce ascoltare i racconti del pappagallo e non va in chiesa. La forza emergente, che si esprime col notaio, non solo vince sul cavaliere, ma perfino colpisce alla gola, strozza (figuratamente una sorta di cravatta dello strozzino) il negoziante e conquista il suo bene principale, la moglie, cioè il campo, la scena.
Questo racconto-cornice è un racconto che deriva dal racconto cornice delle Storie del pappagallo, una raccolta di settanta storie dell'India di argomento amoroso, tradotte in lingua persiana nel XIV secolo. Questa raccolta indiana, che non ha stile popolare, ha per protagonista un mercante che ama tanto la moglie da non volersene distaccare e perciò non si dedica alla professione di famiglia, la mercatura. Il padre,naturalmente anche lui mercante(per nascita), disperato per le sorti della famiglia, vorrebbe morire, ma un amico lo dissuade. Questo amico ha del mitologico. Egli fu un tempo(in altre vite precedenti) maledetto da un asceta e costretto ad incarnarsi come uomo ed espiare la pena aiutando il suo amico mercante. L'amico, dotato a quanto sembra di arti magiche, chiama il pappagallo e la cornacchia parlante, sua sposa, suoi antichi compagni di sventura.Anche loro espieranno le loro colpe facendo rinsavire il mercante-figlio e proteggendo la di lui moglie nel suo voto di fedeltà coniugale. L'arma, lo stile della cornacchia è la predica, l'ammonimento morale, arma futile e odiosa che non approda a nulla. Invece il pappagallo ha il suo forte nell'arte del narrare, intrattenendo e acculturando. Avviene quindi che il mercante-figlio parte per esercitare la mercatura. Sua moglie sale sul tetto della casa ed è adocchiata da un principe che se ne incapriccia. Questi per far sì che ceda al suo desiderio le manda due abilissime ruffiane. Queste ruffiane riescono a indurla a incontrare il principe. Ed ella sta per andare. La cornacchia l'affronta facendole il predicozzo e non ottiene nulla. Il pappagallo sembra approvare il suo comportamento, ma ogni volta le accenna a muoversi, ad agire come aveva fatto la tal nobildonna, la tal principessa...La donna, incuriosita vuole conoscere la storia della tal nobildonna, della tal principessa..e il pappagallo gliela racconta...Il tempo passa...L'appuntamento galante salta...e la donna resta fedele.
Tutta l'impalcatura è raffinata, niente a che vedere con la mentalità popolare del borgo palermitano dell'inizio ottocento. Presumo che questa storia-cornice sia pervenuta in Sicilia, a Palermo a mezzo di soldati mercenari al servizio o degli spagnoli o dei francesi.Non pare che ci siano varianti di questo racconto in altre regioni italiane. Il Pitrè ricorda, alla fine, un racconto simile, cioè racconto-cornice e i tre racconti del pappagallo, sentito proprio a Palermo, intitolato 'Donna Viulanti'). Ci sono ancora delle chiare corrispondenze tra i personaggi. Il 'cavaliere' della siciliana corrisponde al 'principe' della indiana. Entrambi usano ruffiane. Nella siciliana non c'è la cornacchia, ma un discorso simile al suo lo fa la vecchia ruffiana. Il "cucinu" della siciliana ha qualche punto in comune col 'reincarnato' della indiana.
Cosa vuole dire Agatuzza Messia e la sua cultura con questo racconto? Può anche darsi che il racconto abbia avuto altra impostazione e altro volgere in tramandamenti più antichi. Lo si desume dal fatto che la scommessa tra il notaio e il cavaliere prevedeva il pagamento del pattuito dopo che uno dei due fosse riuscito a parlare con la moglie del negoziante, mentre alla fine ciò avviene solo dopo che il notaio ha sposato la vedova del negoziante e le ha rivelato che si era tramutato in pappagallo per amor suo. Probabilmente prima c'era un altro epilogo, negativo sia per il notaio, sia per il cavaliere, o meglio ancora il notaio non era presente tra i personaggi e il pappagallo invece era un aiutante del negoziante, come nella versione indiana. Agatuzza Messia ha presente l'incongruenza del pagamento della scommessa solo dopo il matrimonio, anzi la mette in evidenza. Dopo la morte del negoziante, il notaio e il cavaliere s'incontrano; il cavaliere riferisce che la donna della finestra era rimasta vedova perchè il pappagallo lo aveva strozzato; il notaio rispondeva che la commiserava. Ma nessuno dei due, sottolinea la Messia, parlò della scommessa. Molto probabilmente Agatuzza Messia, o qualcuno dei parenti che le ha tramandato questo racconto, ha cercato una chiusura più vicina alla morale cristiana e in genere a un modo di vivere più civile. La laida scomessa viene riscossa, ma solo dopo un matrimonio, un contratto. Agatuzza Messia ha una visione contrattualistica dei rapporti fra uomo e donna. Ci viene in mente il suo famoso racconto "Caterina la sapiente". In questo racconto Caterina, la protagonista, si unisce, non riconosciuta, per ben tre volte, con suo marito, e per ben tre volte partorisce un bambino, ma solo dopo che l'uomo l'abbia sposata con tutti i crismi. Mi permetto di fare questa considerazione perchè nella variante del racconto che lo precede di qualche secolo, cioè ne "La Sapia" di Giovanbattista Basile, la protagonista non viene sposata dal re: ogni volta che Sapia seduce il re con tecnica finestraiola questi le regala, dopo l'incontro galante, un bel monile.
I racconti della Messia presentano un carattere unitario, una razionalità sintagmatica che molto raramente si osserva in altri narratori di fiabe. Quasi sempre nelle fiabe ci sono zone d'ombra, incongruenze tralasciate, calcoli approssimativi. Invece la Messia risistema la narrazione e le fiabe di magia sembrano racconti fantastici di tipo moderno.Ma non è proprio così nel racconto cornice "Lu pappagaddu chi cunta tri cunti", perchè in questo caso l'interpretazione da parte della novellatrice palermitana prende una piega irrazionale.
Il notaio, per esempio, lungi dal rappresentare la forza sociale emergente che cozza con gli interessi dei negozianti, è nella Messia il campione d'amore, che va oltre la norma, che per raggiungere i suoi scopi chiede aiuto pure al demonio. Il campione d'amore che vende pure l'anima al diavolo per conquistare il suo amore, per un irrefrenabile desiderio. E l'amore, nella cultura della Messia, lo deve dimostrare l'uomo nei confronti della donna, perchè altrimenti quest'ultima viene derisa e allontanata come Marvizia e come la protagonista del racconto 'La palumma'.
L'amore, quello vero, per la cultura popolare siciliana, è passione, esclusività assoluta, senso del possesso. Il famoso verso della lirica della "Cavalleria rusticana" <<e siddu moru e vaiu n' paradisu, si nun ce trovu a' ttia, mancu ce trasu>> esprime pienamente il sentire amoroso del popolo siciliano.
Il racconto della Messia si apre con la considerazione che la moglie del negoziante usciva pazza per il marito e forse per questo aveva accettato di restare chiusa in casa per il periodo in cui il marito si fosse assentato per la mercatura, un uso non più seguito a Palermo, e sicuramente mai attuato dai popolani non abbienti, un uso di derivazione araba. E si conclude con la confessione e dichiarazione d'amore del notaio: egli s'è fatto pappagallo per amore. Una pazzia ancora più grande. La Messia è consapevole della pazzia dell'amore, ma contro l'amore non si può andare. Ed è meglio assecondarlo, non aspettare chissà che cosa. Nei suoi racconti, molto spesso, l'amore è un colpo di fulmine, uno sguardo, una vasatedda...e a otto giorni si celebra il matrimonio. Quest'ultimo ci deve essere e in brevissimo tempo.

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