Lo cunto de li cunti, di Giambattista Basile. Tipi, motivi dei cunti e considerazioni etno-antropologiche.

Giambattista Basile

Tipi e motivi dei cunti in accordo con Aarne e Thompson: "The types of the folk-tale" Helsinki, 1928, e in accordo con Stith Thompson:"Motif-index of folk-literature" Helsinki 1932.Da Norman Mosley Penzer, The Pentamerone of Giambattista Basile Londra 1932 con traduzione e qualche aggiunta di Salvatore La Grassa(SLG)

Online Il cunto de li cunti in dialetto napoletano a cura di Michel Rak(su letteraturaitaliana.net

Online la prefazione all'opera di Benedetto Croce e i cunti di I e II giornata con testo in dialetto conforme alla stampa del 1634

I cunti delle giornate III, IV e V con testo in dialetto conforme alla stampa del 1634



Giovambattista Basile - nato Napoli 1575 morto a Giugliano(NA) nel 1632 - scrisse "Lo cunto de li cunti", una raccolta di fiabe in dialetto napoletano. L'opera, nota anche col titolo "Pentamerone" ricalca nella cornice lo stesso Decamerone di Giovanni Boccaccio e l'opera dello Straparola, ma in maniera caricaturale. Le giornate sono cinque e le narratrici che si dilettano a raccontare i 50 cunti sono dieci orribili vecchie che si chiamano Zeza sciancata, Cecca storta, Meneca gozzosa, Popa gobba ecc.. La trovata geniale del Basile consiste nell'aver confezionato un nuovo genere letterario: rimescolando sapientemente elementi originari della fantasia popolare con altri elementi, filtrati attraverso la cultura letteraria, il Basile inaugura il racconto fiabesco moderno in cui l'autore interviene:
1)per influsso dello stile barocco del suo tempo con una serie impressionanti di metafore e di similitudini e una sovrabbondante invenzione lessicale;
2)con sottile ironia sui comportamenti poco ortodossi di regnanti e cortigiane;
3)affidando agli orchi una collocazione diversificata rispetto alla collocazione uniforme per lo più loro assegnata nei racconti popolari più vicini a noi moderni.
Gli orchi del Basile non sono dei cannibali; o meglio, pur se vengono descritti a volte come possibili divoratori di carne umana, in effetti nei cunti del Basile solo un orco uccide persone e sembra nutrirsi di carne umana: ma nel suo caso ci sono da fare delle precisazioni. E' l'orco che ha indovinato nel cunto "La pulce"(I giornata,5) la pelle della pulce ingrassata col sangue del re. Ma è molto probabile che il Basile ha adattato questo cunto per dipingere una metafora della società parassitaria del suo tempo alla corte del Vice Re di Napoli. Un aspetto deplorevole di quella società erano al contempo le riscossioni delle tasse e delle gabelle concesse ai nobili e le forti agevolazioni fiscali loro accordate. Ritornando all'orco che riconosce la pelle della pulce ingrassata si può dire che sia pure un orco particolare. Ha l'odorato molto fine degli orchi, e infatti riconosce la pelle di pulce con l'odorato, ma ammette che per un pranzo nuziale serve la carne di cinghiale. Lo stesso orco da alla figlia del re, Porziella, che l'ha seguito nella sua dimora nel bosco, anche ceci e fave. Sia il il Croce, sia il Rak, traduttori e commentatori dei cunti del Basile, mettono in evidenza che ceci e fave secche erano cibo abituale dei cercerati e dei condannati a morte, quindi questa dazione sarebbe una metafora dello stato di Porziella: nel senso che si sentiva come una condannata. E se non fosse così? Cioè se per caso nel racconto basiliano, oppure nel racconto originario, cui Basile si ispirò, la dazione di ceci e fave sarebbe stata reale e non metaforica? In questo caso la figura dell'orco cannibale potrebbe essere accostata a quella categoria di persone che secondo i seguaci di Pitagora e secondo Porfirio sono considerati cannibali perché mangiavano fave, in quanto mangiare fave era come mangiare le teste dei propri genitori, poiché c'era una antica credenza secondo cui le anime dei defunti potevano incarnarsi per mezzo delle fave, una volta ingerite dalle donne in età fertile. Fra l'altro nello stesso cunto c'è una traccia di tale credenza e tale traccia si trova nella considerazione che il re d'Altomonte ha della figlia: cioè quando dice che ella non è altro che sua scorreggia. E c'è nel Pentamerone altro orco che pretende che una sua scoreggia abbia provocato l'incarnazione di una bellissima fanciulla(Viola, II, 3).
Poi c'è l'orco che critica aspramente la società reale. Si tratta dell'orco(Il principe Verde Prato, 2^ giornata 2)che parla di cose di cui non parlerebbe se sapesse di essere ascoltato? Egli parla con l'orchessa, la sua compagna, ma le sue confidenze sono raccolte dalla protagonista Nella e lo condannano ad essere scannato. La connessione dell'orco con "persona che infrange un segreto" molto probabilmente è molto antica, ma non era stata messa ben in evidenza dagli studiosi. Perché, probabilmente, anche nella nostra cultura esiste ancora ben radicata questa tendenza a considerare fragili e/o inaffidabili quelle persone che non riescono a tenere nascosto un segreto, mentre presso le nostre associazioni malavitose simil-segrete colui che parla è da liquidare. Probabilmente atto sacrilego e quindi fortemente autoescludente dal gruppo(mi riferisco a culture di interesse etnologico, ma anche a culture molto avanzate che praticavano riti misterici) era quello di violare i riti riferendo a donne e bambini ciò che vi si verificava. Il Basile probabilmente intuisce questa connessione ed infatti nel cunto "Lo serpe"(2^ giornata,5) fa dire a una volpe, che ha rivelato il segreto diffuso da certi uccelli: "..se non hai il mio sangue per fare un miscuglio con quello degli uccelli è come se non avessi nulla!".
Quindi, nel Basile, oltre all'orco che ritiene feconde le proprie scorreggia, orco che si potrebbe chiamare "manciafasole", oltre all'orco mangione( gli orchi e soprattutto le orchesse nel Pentamerone sono per lo più dei mangioni), oltre all'orco inesorabile del tempo che tutto manda in rovina( I sette colombelli, 4^ giornata 8), c'è l'orco che ha pagato a caro prezzo l'aver violato un tabù, l'avere diffuso un segreto. Quando un orco, un diverso, che comunque parla lo stesso linguaggio umano, rivela un segreto concernente la sua persona, avviene che l'eroe e/o l'eroina lo devono uccidere perché il medicamento miracoloso ricercato sta nel corpo stesso del diverso, dell'orco: il grasso o il sangue. Ma ci sarebbe da chiedersi chi sia originariamente un orco: è un vero cannibale, oppure viene ritenuto tale quando rivela un segreto? L'orco vive in disparte perché è un cannibale o invece perché è stato escluso dalla comunità per aver rivelato un segreto, per essersi opposto alle tradizioni tribali della comunità o aver oltraggiato la setta segreta?
Tornando al Pentamerone si osserva la presenza di un orco deforme, nano, avvicinato al demonio(l'orco del cunto primo della prima giornata). Questo orco, probabile relitto culturale dell'iniziatore nei riti iniziatici delle società di interesse etnologico, fà in modo che Antuono impari a tenere la bocca chiusa, a non parlare dei segreti a lui affidati. Quindi questo orco è positivo, un pò come alcuni centauri della mitologia greca(vedi Chirone, il maestro di Achille). Quest'orco deforme, che insegna a non rivelare i segreti, sta agli antipodi dell'orco che parla e viene ucciso.
Un mostro mitologico greco, il cui sangue è efficace magicamente, è la Gorgone Medusa, la diversità e l'alterità unificate. Il suo sangue è miracoloso e secondo un racconto mitico il semidio Asclepio ricevette dalla dea Atena due fiale del sangue provenienti da parti diverse del corpo della Gorgone. Il sangue proveniente dalla parte sinistra del corpo del mostro faceva resuscitare, quello proveniente dalla parte destra faceva morire. Poi Zeus colpì col fulmine Asclepio perchè evidentemente questa magia stava costituendo sulla terra un "ordine" che si scontrava con quello instaurato dagli dei olimpici(cfr. Robert Graves, I miti greci, 50).
Riepilogando nel Pentamerone ci sono sei tipi di orco:
1)L'orco iniziatore che consegna all'iniziato una dote e fà in modo che il suo allievo tenga cucita la bocca;
2)L'orco ignorante e presuntuoso, l'orco "manciafasole": collegato probabilmente al signorotto di campagna che pretende lo ius primae noctis(vedi Viola, II giornata,3); sua sottospecie è il re d'Altomonte che da il suo sangue per nutrire una pulce e che considera la figlia come sua scorreggia.
3)L'orco che parla, che viene scannato e dal cui sangue o grasso si ricava il medicamento miracoloso;
4)L'orco mangione che minaccia di divorare l'eroe e/o l'eroina, ma non ci riesce perchè quasi sempre l'eroe o l'eroina hanno una virtù, una dote magica, oppure degli aiutanti grazie ai quali riescono a sfuggirgli; questo orco è una probabile deformazione dell'orco iniziatore che nelle culture etnologiche ingrassa, abbellisce l'iniziato; divenuto orco perché confuso con il cannibalismo guerresco nei confronti dei prigionieri di guerra di alcune culture etnologiche ed anche di societè evolute come la Grecia nel racconto mitico della guerra di Tebe: Tideo ferito a morte divora il cervello del feritore, Melanippo; oppure, più probabilmente, questo cannibalismo è la negativizzazione, la demonizzazione di un cannibalismo funerario rituale, quale la manducazione delle ceneri dell'antenato, del morto potente, vedi capo, vedi sciamano; ed è anche probabile che la mangioneria di questi orchi non sia altro che un relitto culturale dell'orgia alimentare che moltissime società di interesse etnologico praticavano nel periodo liminare tra la vecchia e la nuova stagione, tra la fine dell'inverno, povero di attività lavorative e ricco di cerimonie religiose, e l'inizio della nuova stagione di caccia, pesca e raccolta. Presso queste culture non era praticata e non aveva senso la conservazione delle derrate alimentari; quindi, prima che iniziasse la nuova stagione, durante una grande festa, venivano distribuite e consumate tutte le derrate alimentari rimaste; quindi avveniva come un livellamento sociale, perché dopo quella festa era disdicevole e segno di spilorceria che qualche famiglia o clan conservasse ancora roba da mangiare: queste orgie alimentari, per questa correlazione col livellamento sociale fra clan, è stata tramandata in culture succedanee come festa di ritorno all'età dell'oro e in culture prossime alla nostra, come quella greco-romana, sono state inquadrate come un ritorno alla vita primordiale, al caos creativo, all'eguaglianza tra padroni e schiavi: vedi i Saturnalia di Roma, vedi i Kronia della Grecia. E' importante sottolineare che le orgie alimentari erano un segno di fiducia degli uomini nei confronti dei numi, i numi avrebbero gradito la festa e mandato una buona stagione. Presso società come la nostra, che praticano da tempo la conservazione delle derrate alimentari, l'atteggiamento umano affine al rituale dell'orgia alimentare è stato demonizzato e per questo sono sorti nelle fiabe tanti orchi mangioni, e per estensione cannibali per via di un loro collegamento al cannibalismo guerresco e al cannibalismo funerario endogeno. Probabilmente il rito dell'orgia alimentare, non favorendo la conservazione degli alimenti, o di alcuni alimenti che potevano essere conservati, poteva favorire il ricorso a razzie presso tribù vicine nel caso ci fosse stata una stagione particolarmente sfavorevole e quindi carestie: dalle razzie poi si poteva passare all'odio reciproco fra tribù e quindi al cannibalismo guerresco(questo ragionamento è parecchio semplicistico, ma serve per dare una connessione tra orgia alimentare e cannibalismo, poi bisognerebbe fare delle indagini più specifiche e contestualizzate del fenomeno). Comunque questo rituale dell'orgia alimentare già presso molte culture antiche ed anche culture di livello etnologico e sicuramente presso le nostre culture subalterne(subalterne per un concetto espresso negli studi di Alberto Mario Cirese, suo il volume Cultura egemone e culture subalterne), vedi sinti, romani, vedi clan ben radicati di stampo mafioso, si è trasformato in una sorta di manifestazione di opulenza del clan dominante. In un determinato periodo dell'anno o per particolari eventi, come funerali, matrimoni, battesimi, in queste culture viene artatamente esagerato l'impiego di derrate alimentari distribuite agli invitati e ad eventuali visitatori, l'impiego di fiori o di ghirlande, l'impiego di apparati molto costosi, tipo elicottero, vetture lussuose e di grandi dimensioni, carrozze con più cavalli ecc..ecc..: tutto questo per mettere in evidenza la preminenza del clan.
5)L'orco parassita affine alla pulce, metafora moderna del cannibalismo;
6)L'orco come Il Tempo che inesorabile divora e manda in rovina ogni cosa.
La raccolta del Basile, pubblicata postuma dalla sorella Adriana circa due anni dopo la sua morte, ebbe un discreto successo e parecchie edizioni furono stampate nel secolo XVII. Sicuramente l'opera del Basile influenzò i fratelli Grimm e anche Charles Perrault che nella sua raccolta di fiabe sembra raccogliere la sua ironia. L'ironia del Basile e del Perrault spesso non vengono ricordati. Avviene che le traduzioni nelle varie lingue delle raccolte di fiabe di questi due autori, poichè è diffusa l'idea che esse siano da destinare ad un pubblico infantile o men che adolescenziale, non ne riportino lo spirito originale, ma si appiattiscono in un linguaggio adatto a scolaretti. Bisognerebbe conoscere il dialetto "napoletano" e la lingua francese per comprendere appieno rispettivamente l'uso brioso e intelligente della rettorica del Basile e le frecciatine del Perrault a certi visitatori di salotti, e convincersi senza ombra di dubbio che le loro fiabe sono state scritte soprattutto per i grandi. Ma se il Perrault mantiene una certa etichetta e un procedere molto velato, per cui le sue fiabe le possono ascoltare pure i bambini, non così si può dire per i cunti del Basile. C'è spesso un linguaggio popolare molto colorito, con riferimenti anche alla vita sessuale, a volte si sente il suo sarcasmo, soprattutto verso le donne e chi gli sta dietro, molto spesso prevale un moralismo di tipo popolare che fa leva sulla superstizione e su proverbi beceri, il colore nero è maledetto e molto spesso è riferito allo stato di chi è miserabile, a volte non prevale il giusto, ma al contrario il furbo, l'indolente e soprattutto il baciato dalla sorte. A proposito del nero dei personaggi dalla carnagione scura, risultano particolarmente negativi quelli che agiscono al fine di mettersi al posto dell'eroina con inganno e violenza. Vedi le schiave scure del racconto cornice e de I tre cedri(V,9). Addirittura nel racconto cornice la schiava nera viene seppellita viva insieme al figlio che aveva nel ventre e che doveva chiamarsi Giorgio: un probabile riferimento, questo nome, ai vari personaggi mitici che sono stati collegati alla fava e al sovescio, ovvero Pelope figlio di Tantalo (l'organizzatore di rituali di orgie alimentari), San Giorgio(o meglio il personaggio mitico-popolare da cui fu tratto il Santo cristiano), Dioniso-Bacco(il dio orgiastico greco-romano che moriva e risorgeva). Diverso destino hanno invece alcuni personaggi che non sono scuri, ma che hanno un nome che collega al nero, per esempio Corvetto(III,7). Questo personaggio, invece, per ordine del re fa fuori una coppia di orchi e tutta la loro parentela. Anche l'eroina de Il principe Verde Prato(II,2), ovvero Nella, fa fuori una coppia di orchi che dormivano dopo essersi ubriacati: quest'eroina, per cercare di curare le ferite del suo amato, si traveste e si scurisce il volto. Ci potrebbe essere un collegamento tra questi personaggi positivi nei cunti del Basile, Corvetto e Nella, con i guelfi bianchi e neri(quest'ultimi favorevoli al papato di Roma)? Potrebbe essere, nell'ipotesi che il cavaliere Corvetto sia un ricordo popolare di Alessandro de Medici, detto il Moro per il volto scuro, figlio illegittimo di Lorenzo II de' Medici, nipote di Lorenzo il Magnifico( ma molti lo ipotizzano come figlio naturale del cardinale Giulio de' Medici, che sarebbe diventato più tardi Papa Clemente VII, vedi Wikipedia). Alessandro il Moro fu, dopo la capitolazione della repubblica di Firenze effettivamente, dal 1530, signore di Firenze, poi primo duca di Firenze (dal 1532 al 1537). Questo avvenne per accordi presi dal Papa Clemente VII con l'imperatore Carlo V. Fra l'altro Alessandro il Moro sposò a Napoli la figlia naturale (poi legittimata) dell'Imperatore Carlo V, Margherita d'Asburgo, il 18 gennaio 1536.
A volte in qualche cunto si ritrovano delle incongruenze, delle considerazioni che stonano con il resto della trama. Si potrebbe pensare che alcuni cunti non siano stati riveduti per via del fatto che l'autore sia morto anzitempo; ma a un attento esame questo tipo di incongruenze risulta invece bagaglio dell'autore medesimo o del popolo stesso: ovvero una via per trovare una significazione enigmatico-scherzosa del cunto. Le doppie significazioni possono essere riportate anche al clima politico-religioso-oscurantista dei tempi: tempi in cui erano previste pene severissime per eretici e devianti dalla norma in genere(su Wikipedia un elenco non completo di condannati all'ultimo supplizio per eresia), per cui le chiuse finali a volte possono essere un uniformarsi dello scrittore o del curatore finale ai canoni ortodossi del tempo.
Uno dei particolari seguiti per creare l'enigma e/o l'incongruenza scherzosa sta nel rendere indefinito il periodo della gravidanza. Per esempio nel personaggio del "fato" de "Il catenaccio"(II giornata, 9)si può intravedere "il re della fava" del carnevale napoletano e per sottolineare questa particolarità ho evidenziato ex-novo il motivo: "Il bambino nasce bellissimo come una spiga d'oro dopo qualche anno dal rapporto amoroso".
Altro cunto che riporta questo particolare del periodo di gravidanza sta in Pinto Smalto(V giornata, 3): un cunto che sembra una parodia del ratto di Persefone. C'è indubbiamente nell'opera del Basile un sostrato diffuso legato alla cultura greco-romana e questo dipende sia dalla cultura umanistica dell'autore, sia perché il territorio e il popolo da cui sono tratti, per lo meno le trame grosse dei cunti, è ancora permeato, soprattutto per quanto riguarda le feste tradizionali e folcloristiche, dalla cultura antica: in cui a sua volta, molto di più rispetto ad oggi, era evidente una bipolarità tra credenze dominanti e credenze di tipo superstizioso.

Statue mostri villa Bomarzo edificata nel 1550

Statue mostri villa Bomarzo edificata nel 1550

Sopra alcune statue di mostri nel parco della villa di Bomarzo. La villa fu creata dal principe Pierfrancesco Orsini nel 1552, per lenire il “core rotto” dopo la morte della moglie Giulia Farnese. Nulla vieta di immaginare che opere artistiche come il Pentamerone e altre opere barocche siano statue influenzate da questo gusto del mostruoso di quel tempo. Colui che scrive ritiene che molto poco hanno dedicato gli studiosi ai cunti del Basile, in specie gli studiosi della scuola diffusionistica. Il seguente è anche un lavoro che cerca di porre rimedio a questa noncuranza.


Osservazione su tipi e motivi e sullo studio di Propp nella letteratura folkloristica



L'opera monumentale di Stith Thompson, esponente della scuola finnica facente capo alla corrente del diffusionismo si preoccupò della ricerca dell'archetipo dei racconti popolari e usò come strumento la classificazione per tipi e motivi. Ma cercare l'archetipo è come entrare in un labirinto: non ce se ne esce più se non si ha un punto di riferimento contestuale. Vladimir Propp ha prima scritto "Morfologia della fiaba", uno studio che si dedica ad identificare gli elementi costanti e le regole uniformi di un certo tipo di fiabe con caratteri arcaici. Ma poi ha perfezionato il suo pensiero con "Le radici storiche dei racconti di fate", una ricerca genetica e diacronica che riporta quelle stesse fiabe con caratteri arcaici a istituti specifici dell'evoluzione storico-sociale, cercando di definire principalmente quale metodo di produzione abbia reso possibili gli stessi racconti. Questo tipo di operazione, di studio si aggancia alla storia delle religioni e alla storia delle tradizioni popolari. Il Propp, in sintesi, fa una indagine diacronica su quegli stessi racconti in cui aveva scoperto delle analogie, delle grandezze costanti, da lui denominate in "Morfologia della fiaba" - funzioni narrative - pur nel variare dei tipi, dei motivi, dei personaggi, e li riporta e li collega al rito di iniziazione e ai riti di rappresentazione della morte di società arcaiche che praticavano la caccia, quale attività primaria di produzione.
Ma comunque il Propp chiarisce che l'iniziazione non è per nulla l'unico rito di quelle popolazioni, vi erano anche riti stagionali venatori e agricoli, nonchè altri riti che dovevano avere il proprio mito di origine. Con lo sfaldarsi delle società quei miti sono divenuti dei "relitti culturali" , fatti propri dalle culture succedanee con modificazioni, sostituzioni, trasposizioni di senso da un lato, e con aggiunte di nuovi elementi dall'altro.
Stith Thompson colse e spezzettò la trama del racconto popolare in tanti pezzetti, i motivi. Cercò di creare dei tipi di fiabe, legandoli a dei motivi costanti. Tale operazione è oggi molto utile agli studiosi, ma una migliore ed anche più facile ricerca è quella indicata da Propp: contestualizzare il racconto riportandolo ai mezzi di produzione che l'hanno reso possibile. Ed i mezzi di produzione non formano un lungo elenco. Questo tipo di lavoro serve soprattutto a dare unità al racconto, e ci fa intuire e differenziare ciò che può essere originario da ciò che è posticcio, successivo, arrangiato.
Comunque, a scanso di equivoci, deve essere inteso dal lettore che a colui che scrive non interessano in particolar modo i giochi pirotecnici di gusto barocco del Basile, ma piuttosto interessa il come e il perché nasce un racconto, il come e il perché si trasforma con la sparizione di alcune culture soppiantate da altre culture succedanee, oppure come un racconto popolare possa essere l'espressione di una cultura subalterna che critica, che fa la parodia, che scimiotta la cultura egemone. Quindi per colui che scrive è più importante lo spessore diacronico del racconto che piuttosto la sua unità e la coerenza di tutte le sue parti. Proprio grazie alle smagliature, a qualche incongruenza del racconto si può tentare di tracciarne una deriva dall'origine fino a quando è stato ascoltato e trascritto. Colui che scrive ritiene meno di un fico secco una simbologia dai caratteri astorici, gli archetipi immutabili e per giunta ereditabili come i geni del DNA. Invece tutto muta e tutto è linguaggio che trasforma un racconto originario in qualcosa d'altro rispondente alle aspettative di un pubblico che è sempre diverso. Le nuove connessioni e quindi la trasformazione del racconto che si tramandava oralmente è probabilmente una risultanza dell'abilità del novellatore nel riproporre e rimescolare un tema e una trama antica fornendo loro un nuovo inquadramento, una nuova prospettiva, una qualche parte che si intoni a tutto il resto e che venga anche incontro alle aspettative del pubblico. Il modo di porgere il racconto da parte del novellatore è molto importante. Se, come introduzione, egli dice che quel racconto che sta per cominciare gli fu narrato dal nonno o da un'ava, il pubblico si aspetta qualcosa di tradizionale. Ma è chiaro che il novellatore non potrà mai ripetere parola per parola il racconto che aveva sentito da piccolo: gioco forza gli cambierà qualcosa perché magari i tempi, l'ambiente di lavoro, la campagna, il clima ecc.ecc. sono cambiati. Per questo i racconti della nonna da millenni a questa parte si sono trasformati, pur se a volte vi rimane traccia di usi e costumi antichissimi.
Per quanto riguarda il retroterra culturale dei cunti del Basile si può dire che c'è un legame notevole tra le tradizioni popolari della Campania e dell'Italia del sud in genere con la cultura greco-romana.


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