Le api, il miele e il mondo dell'alveare nel mito



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Il mito di Glauco figlio di Minosse


Creta, palazzo di Knosso

In alto foto di giare nel palazzo di Knosso a Creta, risalenti alla civiltà minoica fiorente nell'isola fino al XIV sec. a.C.: le giare servivano soprattutto per conservare latte, miele e altri generi alimentari, ed anche come sepoltura di bambini.

Altro mito in cui c'è un riferimento al miele e nel contempo alla morte è quello di Glauco. Figlio di Minosse e di Pasifae, da bambino cadde in una giara di miele, mentre probabilmente rincorreva un topo, e morì soffocato, ma fu poi resuscitato da Asclepio. Secondo taluni studiosi (Robert Graves, I miti greci, 90, 3), invece è possibile che un bambino malato morisse nonostante avessero usato un estremo rimedio: fargli ingoiare un topolino rivestito di miele. In un'altra versione è ritrovato da Polido, un indovino, sempre in una giara che stava in un antro in cui una civetta faceva scappare uno sciame d'api. Minosse impose a Polido di resuscitarlo e senza remore lo chiuse nell'antro col fanciullo morto insieme a una spada. Poi il mito, accogliendo un motivo ricorrente nel racconto popolare, fa trovare la soluzione all'indovino nell'imitazione di un serpente che fa rivivere un suo consimile, spezzato in due da un colpo di spada dello stesso Polido: cioè, Polido ricorre, per far resuscitare Glauco, alla stessa erba con la quale il serpente aveva fatto rivivere il serpente ucciso. Il mito di Glauco sembra riportare un uso piuttosto antico, risalente probabilmente al periodo minoico-miceneo, di seppellire i morti in tombe ad alveare, o grotticelle poste su delle pareti rocciose, dette anche "tholos". Nelle crepe di queste rocce è probabile che si rifugiassero serpenti o serpi o che delle api vi facessero l'alveare. Probabilmente un fanciullo era sepolto nel miele o il suo cadavere era unto di miele perchè la sua innocenza era paragonabile al vivere casto delle api. Più che una forma di mummificazione del cadavere, la presenza del miele nel cadavere, potrebbe essere stata dettata dall'esigenza di ricondurre il morto al mondo dell'alveare e alla sua capacità partenogenetica di rigenerazione, simile in parte alla capacità del serpente di cambiare pelle: era come considerare il fanciullo una larva di ape e quel miele doveva servire al suo sostentamento fino alla rinascita?
Il mito di Glauco si può collegare pure a quelle statuette, risalenti al II sec.a.C. e provenienti dalla città romana di Nora(odierna Pula in provincia di Cagliari) in cui un giovane, ritenuto personificazione del dio Aristeo, è avvinghiato dalle spire di un serpente, ed anche ad una statuetta di 16 cm. in bronzo ritrovata ad Oliena (NU - Sardegna) raffigurante un uomo nudo con il corpo coperto di api(vedi giù).
La connessione del serpente, che cambia pelle e quindi si presume viva a lungo, con l'ape partenogenetica, che riproduce se stessa e quindi vive in eterno, può essere stata rafforzata dall'osservazione della ricrescita della coda in alcune lucertole e nelle salamandre, ricrescita probabilmente generalizzata ad altri rettili.



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