Lo cunto de li cunti, di Giambattista Basile. Tipi, motivi dei cunti e considerazioni V giornata.

Tipi e motivi dei cunti in accordo con Aarne e Thompson: "The types of the folk-tale" Helsinki, 1928, e in accordo con Stith Thompson:"Motif-index of folk-literature" Helsinki 1932.Da Norman Mosley Penzer, The Pentamerone of Giambattista Basile Londra 1932 con traduzione e qualche aggiunta di Salvatore La Grassa(SLG)

Online Il cunto de li cunti in dialetto napoletano a cura di Michel Rak(su letteraturaitaliana.net

Online la prefazione all'opera di Benedetto Croce e i cunti di I e II giornata con testo in dialetto conforme alla stampa del 1634

I cunti delle giornate III, IV e V con testo in dialetto conforme alla stampa del 1634


I mesi(V giornata, 2° cunto)


Tipi:
Motivi:
D1094. Bastone magico(clava).
D1174. Cassetta magica.
D1470.1.20. Magica cassetta dei desideri.
D1601.5. Bastone che colpisce da sè.
D1651.2. Magico bastone opera solo per il padrone.
Q2. Cortese e scortese.
Z122.3. I dodici mesi in sembianze di giovani seduti intorno al fuoco.



Il cunto in italiano

C'erano una volta due fratelli carnali, Cianne, che stava bene agiato come un conte, e Lise, che non aveva nemmeno da provvedere alla vita; ma, quanto l'uno era povero di fortuna, tanto l'altro era meschino d'animo. Disperato, il povero Lise lasciò la patria e si die a viaggiare il mondo; e tanto camminò, che una sera giunse, mentre faceva un freddo cane, a una taverna, dove trovò dodici giovani, seduti attorno al fuoco. Questi, veduto Lise, tutto aggranchiato, che quasi era intirizzito dal freddo, si per la stagione forte e si pei vestiti deboli, lo invitarono a sedere accanto al focolare; e Lise, accettato l'invito, si pose a scaldarsi. Mentre si scaldava, gli fu domandato da uno di quei giovani, che stava tutto corrucciato, con una brutta céra da sbigottire: « Che te ne sembra, paesano, di questo tempo? ». « Che cosa me ne vuol sembrare? — rispose Lise. — Mi pare che tutti i mesi dell'anno facciano il debito loro; ma noi, che non sappiamo ciò che domandiamo, vorremmo dar la legge al Cielo, e, desiderando le cose a modo nostro, non peschiamo troppo in fondo se poi sia bene o male, utile o danno, quello che ci viene in ghiribizzo; sicché nel verno, quando piove, vorremmo il solleone, nel mese d'agosto, le scariche delle nuvole; e non pensiamo che, se cosi avvenisse, le stagioni correrebbero al rovescio, le sementi si perderebbero, i raccolti si dissiperebbero, i corpi si magagnerebbero e la natura andrebbe a gambe all'aria. Lasciamo, dunque, fare al Cielo il corso suo, il quale, del resto, ha creato gli alberi per dar rimedio di legna al rigore del verno e di fronde al caldo della state ».
« Parli da Sansone — disse quel giovane; — ma non mi puoi negare che questo mese, in cui siamo, di Marzo non sia troppo impertinente, con tante gelate e piogge e neve e grandine e raffiche e nebbie e tempeste e altre molestie proprio, ci fa venire in uggia la vita! ». «Tu dici male di questo povero mese di Marzo — replicò Lise, — ma non parli già dell'utile che ci apporta; perché esso dà principio, col mettere avanti la primavera, alla generazione delle rose; e, non foss'altro, esso è causa che il Sole provi la felicità del tempo presente col farlo entrare nella casa del Montone(riferimento al 21 marzo in cui inizia la primavera e l'ariete zodiacale e quindi anche le corna come segno comunque di fertilità)».
Ebbe gran gusto questo giovane delle parole di Lise, perché appunto esso era il mese di Marzo in persona, che con gli altri undici fratelli era capitato in quella taverna. E, per rimunerare la bontà di Lise, che non aveva saputo dir male di un mese cosi tristo che neanche i pastori lo vogliono mentovare, gli porse una bella cassettina e gli disse: « Prendi questa e, sempre che ti bisogna qualche cosa, aprila e te la troverai davanti ».
Lise, con parole di grande umiltà, ringraziò quel giovane e, postasi la cassettina sotto la testa, come cuscino, si mise a dormire; e la mattina, congedatosi da quei giovani, riprese il cammino. E, a soli cinquanta passi dalla taverna, apri la cassettina e disse: « Oh bene mio! e non potrei avere una lettiga foderata di panno, con un po' di fuoco dentro, in modo da andar caldo caldo in mezzo a questa neve? ».
Aveva appena terminato di dire, che comparve una lettiga coi lettighieri, i quali lo levarono di peso e ve lo collocarono dentro, ed egli ordinò che camminassero verso casa sua. E, all'ora di menar le ganasce, apri di nuovo la cassettina e disse: « Venga roba da mangiare »; e qui vedesti piovere il bene dal Cielo, e tale fu il banchetto che vi potevano mangiare dieci re di corona. A sera, giunto a un bosco, apri la cassettina ed espresse il desiderio di dormire nel punto in cui era giunto. E subito si vide armare una trabacca scarlatta, sotto una tenda di tela incerata, con materasse di piume, coperta di Spagna e lenzuola finissime; e, domandando da cenare, fu presto in ordine un riposto di argenteria, degno di un principe, e apparecchiata, sotto un'altra tenda, una mensa carica di vivande, che mandavano l'odore a cento miglia distante. Dopo aver mangiato e dormito, all'alba, Lise apri la cassetta e disse: « Vorrei un bel vestito, perché oggi mi deve vedere mio fratello e avrei gusto di fargli gola ». Detto fatto, gli fu pòrto un abito da signore, di velluto in quaranta, nero, con fasce di ciambellotto rosso, con un bel ricamo grande sulla fodera di lanetta gialla, che vedevi un campo di fiori. E, cosi vestito, si mise nella lettiga e arrivò a casa.
Cianne, al vederlo cosi lussuosamente abbigliato e con tanti comodi, volle sapere quale fortuna era stata la sua; ed esso gli raccontò dei giovani che aveva trovati a quella taverna, e del dono che gli avevano fatto; ma tenne nella lingua il discorso passato con quel giovane. L'altro non vide l'ora di congedarsi dal fratello, consigliandogli di andare a riposare perché era stracco; e subito si mise per le poste e capitò alla medesima taverna e vi trovò i medesimi giovani, coi quali prese a chiacchierare. Ma alla medesima interrogazione che quel giovane gli fece, cioè che cosa gli paresse del mese, che correva, di Marzo, cominciò a dire: « Oh Dio, lo confonda questo mese maledetto, nemico degli infranciosati(i malati di sifilide, considerato il mal francese, risentono più forti a marzo le loro sofferenze), odioso ai pecorai, intorbidamento degli umori, distruzione dei corpi: mese tale, che, volendo annunziare qualche rovina a un uomo, si dice: — Va', che Marzo ti ha distrutto ! : — mese che, quando vuoi dare ad alcuno il maggior titolo di presuntuoso, lo chiami: « cura di Marzo »; mese, insomma, che sarebbe fortuna del mondo, ventura della terra, ricchezza degli uomini, se gli fosse cancellata la piazza nella squadra dei suoi fratelli! ».
Il mese di Marzo, al mattino dopo, quando Cianne fu per partire, gli consegnò una bella scuriata, istruendolo: «Sempre che ti viene desiderio di qualcosa, e tu di': — Scuriata, dammene cento! — e vedrai perle infilate al giunco».
Cianne ringraziò il giovane e cominciò a toccar di sprone, e non volle far prova della scuriata prima di giungere a casa propria. Dove, appena arrivato, chiusosi in una camera segreta per conservare i danari che sperava avere dalla scuriata, disse a questa: « Scuriata, dammene cento! ». E la scuriata cominciò a percuoterlo per le feste, di maniera che ai gridi accorse Lise, e, vedendo che non era possibile trattenere la scuriata che si sbizzarriva come cavallo scapolato, aprì la cassetta e la fece fermare. Domandò poi a Cianne che cosa gli fosse accaduto, e, quando ebbe udito la storia, gli disse che non doveva lamentarsi d'altri che di se stesso, che si era procurato il proprio male, comportandosi da arrogante, e che aveva fatto come il cammello che, desiderando avere le corna, aveva perso le orecchie; ma che imparasse un'altra volta a tenere in freno la lingua; perché, se egli avesse detto bene di quel giovane, avrebbe avuto forse la stessa fortuna sua: tanto più che il dir bene è una mercanzia che non costa niente e suol produrre guadagno che non si pensa. In ultimo, lo confortò, dicendogli di non cercare maggiore comodità di quella che il Cielo gli aveva data, perché la cassetta sua bastava a riempire a sovrabbondanza trenta case di avari, e che esso sarebbe stato padrone di tutto il suo bene, perché all'uomo liberale il Cielo è tesoriere; e che, quantunque un altro fratello lo avrebbe avuto in dispetto per la crudeltà che gli aveva dimostrata al tempo delle sue miserie, tuttavia egli considerava che la meschinità sua era stato il prospero vento che l'aveva condotto a questo porto, e perciò gliene poteva render grazie, e si proponeva di riconoscere questo giovamento.
Udite tali cose, Cianne gli chiese perdono dei disgusti passati, e, fatta una lega di botteghe, si goderono insieme la buona fortuna; e d'allora innanzi Cianne disse bene d'ogni cosa, per trista che fosse.


I cunti della quinta giornata



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