Gallo in una moneta della città greca di Sicilia Himera

Le forze infere vengono in soccorso, ovvero i morti vengono richiamati.

Questo racconto popolare, poco considerato dagli studiosi forse perchè proprio tipico della Sicilia e non diffuso in altri territori, riporta come vincenti le forze infere, ctonie, anzi catactonie; racconto quasi unico in questa visione rovesciata del mondo. La nostra cultura si è consolidata ponendo nella parte del bene le forze celesti, la pioggia che viene dall'alto, gli angeli del cielo, i cavalli con le ali. Invece in questa fiaba sono vincenti sui nemici che tentano di assediare il castello le forze catactonie. Nel racconto sono i diavoli dell'inferno, ma più verosimilmente sono guerrieri acconciati in modo tale da incutere terrore ai nemici e che lanciano 'favare' di fuoco. L'uso dei guerrieri di tatuarsi è tipico delle popolazioni del nord Europa al tempo di Giulio Cesare. Nulla di strano che quest'uso fosse pure dei Siculi che provenivano dalla zona bassa danubiana. I tatuaggi dei guerrieri hanno preso il colore del rosso fuoco e così pure le 'favare' sono diventate dardi per connessione con le forze distruttive di un vulcano in eruzione. Fra l'altro negli scavi archeologici si è scoperto che i Siculi lasciavano scarnificare i cadaveri e poi li inumavano dipingendo di rosso il cranio e la testa. Quindi più che i diavoli dell'inferno quelli del racconto sono 'morti potenti' che guidano i guerrieri, incitandoli alla lotta e nel contempo destano il terrore nelle schiere nemiche.

Quando gli iniziati sono pure bricconi

Nel racconto è evidente una struttura iniziatica di tipo sciamanico in cui l'iniziato acquisisce il modo di trasformarsi o in un animale o in un oggetto. Poi Vicenzu esercita una ladroneria sofisticata. Cioè è un ladro che non può essere scoperto. E' il 'briccone divino', il 'trickster'. Anche nell'antica Sparta, dove si erano conservati antichissimi usi, era consentito agli adolescenti di rubare qualcosa a patto di non venire essere colti sul fatto. Vicenzu viene riconosciuto da Patri-drau pur essendosi trasformato in cavallo, segno che Patri-drau è dotato di particolari poteri. Ripreso da Patri-drau Vicenzu subisce le sue angherie. Mentre gli altri prigionieri di Patri-drau rimangono pulcini e come tali alla fine vengono liberati da Vicenzu.
Patri-drau in questo racconto non ha nulla a che vedere coll'orco cannibale di altre fiabe. Patri-drau è l'espressione di un potere coercitivo che la novellatrice riferisce ad un rapporto crudele tra cavallo e padrone. Probabilmente la caratteristica principale e originaria di Patri-drau è propria quella di dominare sugli essere umani: Patri-drau prende un giovane, un adolescente lo trasforma in pulcino e lo rinchiude per sempre sotto terra. Coloro, dei giovani, che gli sfuggono sono i suoi naturali sfidanti. Patri-drau non è comunque il male assoluto. Vicenzu gli subentra. Patri-drau muore nella fiaba come un re vecchio, un re non più in grado di reggere il bastone del comando. Vicenzu oltre a suggergli il cervello entra in possesso di tutti i suoi beni e di tutte le forze catactonie. Vicenzu lo sgomina in una lotta in cui i contendenti usano le loro capacità magiche per annientarsi. Patri-drau ha l'intento di mantenere il potere. Vicenzu tenta di non assoggettarsi a quel potere e tenta di rovesciarlo. E' lo sfidante. Il colpo gobbo di Vicenzu è quello di essersi trasformato in una melograna spezzata i cui chicchi si spargono intorno. Sembra avere la peggio. La mossa successiva di Patri-drau, cioè la trasformazione in gallo che mangia i chicchi della melograna, è l'inizio della sua fine. Probabilmente l'atto del calare la testa per prendere i chicchi a terra è un gesto che lo scopre ai colpi dell'avversario. Probabilmente l'atto stesso del mangiare chicchi di melograna allude a una sua imminente morte. Vicenzu si trasforma in baddòttula(è la donnola, ma il termine siciliano per indicare questo animale da l'idea di una azione fulminea), gli salta in testa e gli succhia il cervello.

La donnola nella tradizione popolare

Per comprendere l'azione della donnola bisogna considerare che quest'animale ha una particolare avidità per il pollame per cui se una donna contadina nella Sicilia dell'ottocento vedeva una donnola e voleva salvare le sue galline, doveva farle una "legatura" o scongiuro, ovvero "promettere uno sposalizio" tra l'animale e una persona. Per farlo doveva recitare questa filastrocca:

Baddòttula, baddottulìna
nun tuccari la gaddina
ca iu ti maritu quantu prima
se si fimmina ti dugnu lu figghiu da rigina
se si masculu ti dugnu la figghia da rigina

Dopo questa promessa di matriminio-scongiuro la donnola rivoltava la sua avidità sui topi. Sempre in siciliano c'è l'espressione: "Sucatu di la baddòttula"; e dicesi di chi sia estremamente magro, secco, allampanato. Si crede, infatti, che la donnola succhi il cervello(Giuseppe Pitrè, Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, vol.III, 440-441). La donnola in genere è un animaletto(lungo 30 cm. compresa la coda che misura 3-4 cm.) inviso agli allevatori. Principalmente agli allevatori di pollame, ma anche agli allevatori di cavalli e mucche, dei quali morde le zampe. Si credeva che il suo morso fosse velenoso e ogni volta che aggrediva questi animali si facevano degli scongiuri. Nel caso specifico del racconto Patri-drau sembra essere un allevatore di pollame speciale(uomini-pulcini), quindi il suo nemico mortale non può essere che la donnola.
Le considerazioni accennate sopra sulla donnola sono di tipo sincronico. Cioè si allacciano a sentimenti, a un sentire contemporaneo alla novellatrice. Ma il racconto risale chiaramente a cultura altra. Non possono, i diavoli vincenti, derivare dalla classe subalterna dei contadini di Sicilia dell'Ottocento. Questo racconto su Patri-drau è un raro esempio di narrazione che si è conservata per la difficoltà di variare il sintagma narrativo già congegnato in maniera pressocchè perfetta. Solo alla fine del racconto c'è un adeguamento alla contemporanietà. Quando, cioè, le forze catactonie diventano diavoli dell'inferno.

Il dominio di Patri-drau

Per cercare di comprendere la figura di Patri-drau è bene circoscrivere il suo operato. Dal racconto si evince che sia una sorte di dio-re e di regolatore della vita e della morte molto repressivo. Molto di rado i pulcini possono sfuggire alla sua legge. Ma egli ricerca tutti coloro che gli sono sfuggiti per ricondurli sotto il suo potere. Ma tutti i viventi sono soggetti al suo imperio? Parrebbe di no.
All'inizio del racconto si fa riferimento alla famiglia di Vicenzu come a una famiglia molto povera i cui componenti vanno in campagna a raccogliere verdura selvatica per ottenere una minestra da servire a tavola la sera. Questo inizio è simile ad altri racconti come Lu Re d'Amuri(XVIII Pitrè, ib.:in questa fiaba vanno a raccogliere cavuliceddi un padre che faceva il cavuliciddaru e la figlia più piccola di tre sorelle), come Lu Scavu(XIX Pitrè, ib.: inizio quasi identico a Lu Re d'amuri) in cui a sradicare una grossa pianta selvatica commestibile è una fanciulla. Dal buco lasciato dalla radice della pianta esce uno schiavo dalla pelle scura. Iniziano così le vicissitudini della fanciulla o delle tre sorelle nel mondo sotterraneo dove stanno ricchezze, ma anche usi cannibalici. Quindi una possibile risposta alla domanda di cui sopra potrebbe essere restrittiva: cioè solo le famiglie povere sottostavano alla legge del mondo sotterraneo, alla divinità sotterranea e anche suprema. In effetti i racconti popolari presentano all'inizio, soprattutto, delle modifiche che li rendono fruibili agli ascoltatori. E poichè molto spesso gli ascoltatori sono poveri contadini, gente del popolo, allora anche gli eroi e le eroine fanno parte di gruppi che vivono ai margini della società. Il racconto stesso diventa funzionale per le culture subalterne: da un lato è realistico soprattutto nella parte finaIe in cui il novellatore insiste sul fatto che mentre l'eroe e/o l'eroina si sposano, ereditano il regno, diventano ricchi, "noi restiamo quà senza niente"; d'altro lato l'ascoltare un racconto riunisce delle persone che hanno un sentire comune, è acculturante nella misura in cui il novellatore riesce a riplasmare il sintagma narrativo inserendolo in un contesto coevo agli ascoltatori. Quindi è presumibile che nel racconto originario l'incontro con Patri-drau sia un avvenimento che tocca tutti gli adolescenti. Del resto in questi racconti è facile notare la struttura iniziatica( la morte e la resurrezione, l'andata e il ritorno) tipica di culture divise in clan in cui non esistevano le classi sociali.

L'essere sotterraneo scuro e il cannibalismo

Se si fa riferimento ai racconti "Lu Re d'amuri" e " Lu Scavu" si può dire che le fanciulle vanno giù nel mondo sotterraneo popolato da cannibali. E' difficile dire se questo tipo di iniziazione sia dei Siculi oppure sia uno schema tratto da antichissimi racconti popolari. Ricorda vagamente il ratto di Kore da parte di Hades. Nel mito greco, che taluni mitografi ambientano in Sicilia, vicino al lago di Pergusa, la Kore stava per raccogliere dei fiori, di cui uno, il narciso, ha la radice commestibile. Ma nella versione di Diodoro Siculo la piana di Pergusa è un prato di fiori in cui crescono spontaneamente delle piante commestibili. Nel mito greco Hades,il dio degli inferi, compie un ratto. Nei racconti siciliani dell'Ottocento l'essere cannibale, l'essere 'scuro' non compie violenza, ma opera di convinzione e con la fanciulla e con suo padre. Serve uno studio particolare per cercare un rapporto tra il mito della Kore e i racconti siciliani. Comunque c'è da dire che il cannibalismo, e nei miti e nelle fiabe, connota un ritorno all'età primordiale. Un cannibalismo, probabilmente da esorcizzare(ma lo stesso potrebbe dirsi delle fiabe siciliane) è presente nella Demetra arcadica, la Demetra Erinnys e di più ancora nella Demetra di Phigalia che aveva una statua con testa mostruosa di cavalla e serpenti per capelli.
Una interpretazione della vicenda delle fanciulle che vanno sottoterra nelle fiabe siciliane sopra indicate potrebbe riguardare i riti cui obbligatoriamente era sottoposta una fanciulla nella iniziazione pre-matrimoniale in un'epoca antichissima in Sicilia. E' difficile risalire a quale cultura insediatasi in Sicilia possano farsi risalire questi rituali. Certo la fama di cannibalismo di un popolo non risiede, non è nemmeno considerata dai componenti di quella stessa popolazione. Perchè nella maggior parte dei casi il cannibalismo è rituale e marginale(per esempio il consumo delle ceneri del defunto) quindi consentito dagli usi e dalle leggi. Sono i popoli vicini, con i quali si instaurano contatti, scambi a diffondere la notizia del cannibalismo altrui. I vicini vedono nel popolo confinante o poco distante il cannibalismo che alligna potenzialmente e sicuramente nei riti e nei racconti anche presso di loro. In Sicilia tanti racconti popolari riferiscono di personaggi e azioni di tipo cannibalico perchè tanti furono i popoli che vi coabitarono. Prima della colonizzazione greca ricordiamo che la Sicilia era abitata dagli Elimi nella parte estrema occidentale(oggi provincia di Trapani e parte di quella di Palermo), dai Siculi nella parte orientale(grosso modo provincia di Messina, Catania, Siragusa, Ragusa e forse Enna)e dai Sicani che stavano al centro. Probabilmente questi popoli si scagliarono reciprocamente accuse di cannibalismo. Molto probabilmente i Siculi e forse i Sicani avevano un cannibalismo guerriero: a volte divoravano parti del corpo dei nemici catturati. Gli Elimi, provenienti dalla fascia costiera sul Mediterraneo dell'Asia Minore, erano più evoluti, ma nella loro cultura erano presenti la prostituzione prematrimoniale delle fanciulle e i sacrifici e/o esposizioni di bambini. Per questo, molto probabilmente, in alcuni racconti popolari siciliani(vedi Mastru Franciscu Mancia-e-sedi CXXVII della stessa raccolta del Pitrè) il cannibalismo è commisto alla prostituzione, alla 'via facile senza o poco lavoro'. Per i Greci tutti gli altri popoli erano cannibali o potenzialmente tali, ma in effetti In Arcadia, una regione interna del Poleponneso, all'epoca di Platone(La Repubblica 565d-e), correva voce che ancora si svolgessero dei rituali cannibalici da parte di sette segrete. Nel 1980 Willian E. Arens ha pubblicato uno studio imperniato sul rapporto tra antropologia e antropofagia. L'autore ritiene che il cannibalismo sia più che altro un mito, una leggenda diffusa da alcuni popoli su altri popoli per screditarli, per emarginarli, per giustificare la conquista dei loro territori agli occhi dei più ingenui che dovevano sobbarcarsi gran parte degli oneri della guerra. La calunnia di cannibalismo, in società più evolute, si trasformò in accusa a un particolare gruppo per destituirlo da ogni controllo sulla cultura, per emarginarlo ed eliminarlo anche fisicamente. Infine la calunnia di cannibalismo venne scagliata sul singolo 'diverso' per gli stessi motivi di cui sopra.

Iniziazione sciamanica e successione al comando

E ora ci accingiamo all'interpretazione del racconto di Vicenzu o dell'iniziazione maschile. Patri-drau era probabilmente collegato alla figura del re, che era pure mago o sciamano in comunicazione con le forze catactonie che gli trasmettevano il potere, la forza, il carisma del comando. Il re veniva sostituito dopo un certo periodo se non superava delle prove o se veniva sopraffatto in queste prove dallo sfidante: quest'ultimo doveva provenire dalle fila di coloro che avevano superato un certo tipo di iniziazione. Fin dal tempo delle iniziazioni c'erano dei segni inequivocabili che facevano prevedere che un ragazzo fosse predisposto al comando. Nel caso di Vicenzu il primo segno è l'essere riuscito a parlare in sogno al padre per indicargli il sistema per individuarlo come pulcino. Vicenzu è poi un formidabile briccone. Altro segno inconfutabile della sua predisposizione al comando. Il fatto che un anonimo lavoratore del fondaco di Patri-drau gli apra inconsapevolmente la via di fuga, levandogli la cavezza, è un altro segno divino. Infine la lotta con le trasformazioni magiche vincenti provano il suo coraggio e la comprensione del comportamento degli animale, cioè del sapere.

La donnola e il gallo nella Sicilia greca

Non faccio collegamenti tra gli animali descritti nel racconto e i miti greci perchè è assolutamente fuorviante. Fra l'altro per i Greci la donnola era un animale malvagio e prepotente. Esopo racconta appunto che la donnola divorò il gallo nonostante questi avesse rintuzzato le sue accuse di molestatore e di incestuoso. In Esopo il rapporto tra donnola e gallo è simile al rapporto che esiste tra lupo e pecora in Fedro. Molto probabilmente anticamente in Grecia e in Sicilia la donnola fu ben voluta solo dalle donne che avevano ribrezzo per i topi e per altri insetti che talora s'annidano nelle case. Allora non si era ancora diffuso il gatto, come invece lo era in Egitto. Per le sue caratteristiche selvatiche la donnola può essere considerata un animale che si poteva accompagnare solo agli uomini che andavano all'altro mondo, lontano dalla civiltà: cioè gli iniziati, gli sciamani e i morti.
L'allevamento di gallinacei era fiorente presso i sicelioti. Tanto è vero che due città come Himera e Selinunte avevano per simbolo il gallo. E appunto il gallo e una foglia di sedano vengono rappresentati nel diritto di monete provenienti da tali città e risalenti al 540 ca a.C. Il gallo era probabilmente associato al culto di una divinità solare, perchè l'animale annuncia il giorno.
Certamente il racconto potrebbe pure rappresentare la vittoria, la conquista di gran parte della Sicilia da parte di Siracusa. Siracusa sarebbe rappresentata dalla donnola. Si sa che la donnola fu l'animale che secondo taluni Greci( Lyc. Alex 843; Schol. Lyc.Alex 843) aveva affinità con la Gorgone Medusa(donnola e medusa sono riconducibili entrambi al significato di 'signora'; donnola deriva dal tardo latino domnula, diminuitivo di domina; in greco il termine medusa aveva attinenza a quello di regina, signora)per via del fatto che si riteneva che questo animale partorisse dalla bocca; similmente al mostro, decapitato da Perseo, che partorì dal collo mozzato Crisaore e il cavallo alato Pegaso. E a Siracusa nel VI sec. a.C. c'era un 'gorgoneion' nel frontone del tempio di Apollo. E sempre a Siracusa ci fu l'emissione di un obolo d'oro (0.7 gr) durante il regno di Dionisio il Vecchio(400 a.C.), raffigurante Atena sul diritto e un'egida con Gorgone sul rovescio. Se così fosse, se cioè questa fiaba fosse ricondotta alla lotta di Siracusa per la conquista della Sicilia, la liberazione dei pulcini da parte di Vicenzu significherebbe la liberazione dei prigionieri siracusani o di alleati di Siracusa. Inoltre, sempre se il racconto si riferisse alla lotta vittoriosa di Siracusa per la conquista della Sicilia, si potrebbe ipotizzare che la storia sia sorta presso le città sconfitte situate nei territori che avevano tradizioni dei Sicani, rivali e nemici di antica data dei Siculi, di cui Siracusa aveva ereditato alcune tradizioni: quindi il mondo rovesciato, la vittoria degli inferi si spiegherebbe come un commento ironico alla sorte che fa trionfare le tenebre, il tiranno sulle polis su cui campeggiava il gallo sacro ad Apollo, il dio giusto.

Lotta tra la donnola e il gallo

Comunque sia, la struttura del racconto risale certamente a tempi molto più antichi, ai tempi in cui la trasmissione del potere avveniva sotto forma di scontro fisico. Il vero potere è di Patri-drau, che promette di guarire la principessa in cambio dell'anello che porta al dito, quindi è anche lo sciamano guaritore. Il re, il padre della principessa, è una figura pittosto debole. Tanto è vero che, quando il regno viene attaccato da un grandissimo esercito, egli si rivolge al genero, a Vicenzu. Quest'ultimo chiede la mano della principessa solo dopo aver eliminato Patri-drau.
Patri-drau può essere considerato un dio-sciamano: punto di riferimento del re, del capo del gruppo. In questo racconto siciliano il re, il padre della principessa, è una figura secondaria. Di solito nelle fiabe il padre della principessa costringe l'eroe a compiere delle imprese straordinarie. Il re cerca di levarselo di torno come pretendente della figlia e quindi come suo successore anzitempo. Non è il caso di questa fiaba.
Del resto Vicenzu è una sorta di Patri-drau, per lo meno ne ha dei tratti. Anche lui è uno sciamano, anche lui ha il potere sulle forze infere. Egli si trasforma in donnola e sugge il cervello di Patri-drau, un comportamento cannibalesco che ricorda la caccia alle teste dei 'cacciatori-raccoglitori' e l'uso presso popolazioni guerriere di divorare il cervello dei nemici catturati e uccisi. Vedi il gesto dell'eroe greco Tideo(ferito a morte divora il cervello del guerriero nemico che lo ha colpito), non a caso chiamato 'nano' come 'Tridicinu' della omonima fiaba siciliana, un briccone, simile a Vicenzu, che si fa beffe e rende ridicolo un Patri-drau 'ababbasunatu'. E la donnola può essere considerato un 'nano' che fa paura ad animali molto più grossi. Fra l'altro la donnola aggredisce a volte pure l'uomo. La donnola è vicina a Patri-drau perchè il suo habitat naturale sono le tane sotto terra abbandonate o sottratte ad altri animali che hanno l'abitudine di scavare delle gallerie; cioè accanto o poco sotto le radici del cespuglio della rapa selvatica, la pianta sradicata da Vicenzu e suo padre. Patri-drau, essere catactonio, perde la vita quando si trasforma in animale vicino al sole, il gallo. Vicenzu vince quando si trasforma in essere legato alla profondità della terra, la donnola. E la donnola era sacra ad Ecate che spesso rappresentava la divinità lunare.

Nessi della fiaba con il dio siculo Adrano e conclusioni: successione al potere del re-sciamano

1)Patri-drau è un essere catactonio di tipo vulcanico: sicuramente i Palici, figliolanza di Adrano, sono divinità di natura vulcanica. 2)Vicenzu chiama le forze infere, centomila diavoli neri con berretti rossi, baffi rossi, occhi rossi, che lanciavano 'favare' di fuoco: probabile connessione dei diavoli con la furia degli elementi vulcanici e coi morti i cui crani venivano dipinti di rosso. 3)Il morso fatale della donnola: questo morso rimanda probabilmente al morso rabbioso del cane di Adrano, al cannibalismo dei cani del tempio di Adrano. 4)Il cane è l'animale in cui si trasforma inpunemente il 'briccone' Vicenzu: i cani del tempio del dio Adrano erano considerati espressione del giudizio divino.
Questo racconto nonostante non sia conforme e alla cultura greca e alla cultura cristiana presenta il personaggio negativo, Patri-drau, come una figura certamente di capo spietato e prepotente, ma dai comportamenti attendibili di un capo e dall'aspetto non mostruoso. Egli è ricco, come tutte le divinità del sottosuolo, e dà come ricompensa al padre(per accordare la madre: perchè il legame madre-figlio è ritenuto più importante), per trattenere il figlio Vicenzu, 200 onze. Chiaramente l'iniziazione sciamanica è fortemente negativizzata. Ma se da quelle iniziazioni doveva uscire il nuovo capo, gioco-forza dovevano essere molto rigide. Rimanere pulcini era il destino dei più. Meglio un solo capo, meglio un solo dio come preferivano presumibilmente i Siculi. A parte i Palici, sua figliolanza, oltre al dio Adrano traccia di altri dei presso i Siculi ce ne sono ben poche. Numerosi studiosi ritengono che la dea Hyblaia, venerata presso diverse città della Sicilia orientale, fosse una dea sicula dal culto oracolare come scrisse l'antico storico siracusano Filino (Pausania, Periegesi, V 23, 6).
Patri-drau non è particolarmente crudele. Un suo lavoratore, quando leva la cavezza al cavallo in cui si era trasformato Vicenzu, viene semplicemente redarguito e non punito. Un dio greco avrebbe avuto nei confronti del servo una reazione durissima. Ho già ricordato che non è cannibale. Probabilmente per l'esistenza del re in questa fiaba e in altre in cui è presente Patri-drau(cito la XXXII, Tridicinu, della stessa raccolta del Pitrè) è ipotizzabile che presso i Siculi vi fossero due autorità: quella regale e quella sciamanica. Le fiabe ci indicano che quella sciamanica ebbe un grandissimo peso. Probabilmente il cambio della guardia del re-sciamano col suo successore avveniva in un tempo significativo del calendario lunisolare: cioè quando ogni 4(50 cicli lunari) o 8(99 o 100 cicli lunari)anni il corso della luna coincideva col corso delle stagioni o del sole? Potrebbe essere considerato che la donnola, simbolo lunare e del sottosuolo, sconfigge(supera o raggiunge astrologicamente) il gallo, simbolo del sole.
In questa fiaba Vicenzu accentra le due autorità e quindi la fiaba potrebbe ricordare la fine di questo sistema probabilmente contrassegnato da qualche sacrificio umano per propiziarsi le divinità.


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