Oggi è Martedi' 17/06/2025 e sono le ore 03:32:58
salvatoreg273, nostro box di vendita su Vinted
M5S in Europa, in prima linea per la #pace
Condividi questa pagina
Oggi è Martedi' 17/06/2025 e sono le ore 03:32:58
salvatoreg273, nostro box di vendita su Vinted
M5S in Europa, in prima linea per la #pace
Condividi questa pagina
Nostra publicità
Compra su Vinted
Compra su Vinted
Compra su Vinted
Compra su Vinted
Compra su Vinted
Notizie salute, sanita' provenienti dai FEED RSS di giornali, riviste specializzate o diffuse da siti specializzati nell'erogazioni di notizie.
#news #ospedale #humanitas #Rozzano #Milano
L’esposizione ai raggi del sole può essere benefica per una serie di fattori, dalla sintesi della vitamina D all’aumento della serotonina che regola il tono dell’umore e il ciclo sonno-veglia. Tuttavia, i raggi UVA, che comportano l’invecchiamento cutaneo, e i raggi UVB, che provocano le scottature, sono importanti fattori di rischio per le patologie della pelle, alcune molto gravi, come il melanoma. Per questo motivo proteggere la pelle dai raggi solari è sempre importante, in particolare nelle stagioni più calde, quando l’intensità della luce solare è maggiore. Il principale strumento che abbiamo a disposizione per la protezione della pelle, oltre ad alcune accortezze come proteggersi con cappelli e vestiti coprenti e non uscire nelle ore in cui i raggi del sole sono più intensi, è l’uso corretto della crema solare.
Ne parliamo con il professor Marco Ardigò, Capo Sezione di Dermatologia Oncologica presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.
I rischi di un’esposizione eccessiva al sole possono manifestarsi sia a breve sia a lungo termine. A breve termine, si possono verificare scottature (eritema solare) e ustioni, caratterizzate da arrossamento della pelle, prurito, desquamazione, oltre a dolore, edema e forte infiammazione. A lungo termine, un’esposizione continua e scorretta ai raggi solari può comportare problemi più importanti. Oltre all’invecchiamento precoce della cute, infatti, esposizione continuativa e senza protezione al sole e scottature ripetute in giovane età, sono un fattore di rischio conclamato per l’insorgenza di melanoma. Il melanoma è un tumore particolarmente aggressivo che colpisce i melanociti, le cellule della pelle responsabili della produzione di melanina, il pigmento che dà colore alla pelle.
L’eccessiva e scorretta esposizione ai raggi solari, in particolare durante infanzia, è il principale fattore di rischio di insorgenza di melanoma, quindi la protezione della pelle è particolarmente importante dal punto di vista della prevenzione. Altri fattori associati allo sviluppo di melanoma sono: predisposizione familiare, fototipo basso e presenza di un numero elevato di nei. Anche le persone con fototipo scuro o con pochi nei devono prestare attenzione all’eccessiva esposizione al sole, perché l’abbronzatura e le scottature aumentano comunque il rischio di insorgenza di tumori cutanei.
Altri tumori maligni della pelle, meno aggressivi rispetto al melanoma ma il cui rischio di insorgenza aumenta in relazione all’esposizione ai raggi solari, sono gli epiteliomi squamocellulari e i basaliomi o tumori basocellulari. I basaliomi sono i tumori della pelle più comuni, interessano soprattutto le persone che per lavoro passano la maggior parte del tempo all’aperto sotto il sole, e sono tumori a crescita localizzata e lenta, che vengono quindi in genere individuati e trattati a uno stadio ancora precoce. Anche i tumori squamocellulari sono più frequenti rispetto ai melanomi, con un’incidenza circa tre volte superiore, ma presentano un’aggressività minore.
In generale si dovrebbe evitare l’esposizione ai raggi solari nelle ore centrali della giornata, tra le 12 e le 16, ed è opportuno utilizzare occhiali da sole con filtro UV, cappello e vestiti in tessuti fotoprotettivi e mantenersi sempre idratati. Oltre a questi accorgimenti è però fondamentale utilizzare sempre una protezione solare adeguata.
Per scegliere la crema solare bisogna più adatta è importante controllare l’SPF (Fattore di Protezione Solare) riportato sulla confezione, che deve essere 50+: più l’SPF è alto, infatti, maggiore è la protezione dai raggi UV. La scelta del livello di SPF si basa anche sul tempo che la pelle impiega ad abbronzarsi con l’utilizzo della crema. Un SPF alto aiuta anche l’abbronzatura, che è più duratura e sana, senza compromettere la colorazione della pelle. Infine, è consigliabile verificare che la crema offra protezione sia contro i raggi UVA sia contro i raggi UVB, preferendo prodotti che garantiscono una protezione completa.
Bisognerebbe usarla sempre, non solo, quindi, quando si prende il sole nei giorni di vacanza, ma anche in città (sono in commercio anche creme idratanti con SPF incorporato). Si raccomanda di applicarla più volte al giorno, ogni 2-3 ore: la crema solare che si usa, infatti, è generalmente inferiore alla quantità di cui la cute avrebbe bisogno (e anche per questo, quindi, è più utile usare una crema a SPF alto). L’azione protettiva della crema solare può essere ridotta dalla sudorazione e dall’esposizione all’acqua, come quella del mare o della piscina. Tuttavia, sul mercato sono disponibili creme solari resistenti all’acqua, specificamente formulate per mantenere l’efficacia anche in queste condizioni.
La crema solare va messa durante tutto il periodo di esposizione al sole, anche se la pelle è già abbronzata. L’abbronzatura stessa rappresenta infatti un segnale di danno alla pelle, poiché la pigmentazione aumenta in risposta ai danni causati dai raggi ultravioletti. Per questo motivo è importante applicare la fotoprotezione anche quando si è già abbronzati, senza trascurare quegli effetti che non sono visibili (invecchiamento precoce e rischio di danni cellulari) come può esserlo invece un eritema.
Inoltre, sebbene le nuvole possano filtrare parzialmente le radiazioni ultraviolette, è comunque importante applicare la crema solare anche in giornate nuvolose. Infatti, anche in assenza di calore percepito, le radiazioni UV sono presenti e possono danneggiare la pelle.
Come abbiamo detto, l’abbronzatura è espressione di un danno cutaneo. Con la crema solare la pelle si abbronza lo stesso e in maniera più stabile, perché la pelle si desquama in tempi più lunghi e quindi l’abbronzatura persiste per più tempo. È importante sottolineare, comunque, che l’abbronzatura non dovrebbe essere considerata un obiettivo, ma piuttosto un risultato di un’esposizione al sole gestita con attenzione.
In conclusione, tutti devono usare la crema solare, indipendentemente dall’età. Il sole fa bene, non apporta solo danni, ma proteggersi è importante, perché un’esposizione eccessiva ai raggi solari può aumentare il rischio di sviluppare tumori cutanei.
È importante non utilizzare creme scadute o non scadute ma aperte dall’anno prima perché perdono in efficacia e non proteggono adeguatamente la pelle. Si tratta di prodotti complessi che nel tempo possono subire fenomeni di degenerazione, compromettendone le proprietà.
The post Sole: perché proteggere la pelle con la crema solare è fondamentale appeared first on Humanitas.
La forfora è una manifestazione comune del cuoio capelluto caratterizzata dalla desquamazione e dalla produzione di scaglie bianche o giallastre, che rappresentano una conseguenza di diverse condizioni patologiche. Sebbene generalmente non sia considerata una malattia grave, la forfora può incidere in maniera significativa sulla qualità della vita, causando disagio e imbarazzo.
La forfora colpisce un’ampia percentuale di popolazione, con una prevalenza stimata tra il 20% e il 50% nelle persone adulte. Spesso si accompagna a prurito e irritazione del cuoio capelluto e può avere ripercussioni psicologiche che, in alcuni casi, portano a una riduzione dell’autostima. Comprendere le cause e adottare strategie di gestione efficaci è fondamentale per affrontare questa condizione in modo adeguato.
Quali sono i rimedi in caso di forfora? Ne parliamo con il dottor Michele Cardone, dermatologo presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.
Le cause della forfora possono essere suddivise in diverse categorie:
La forfora si sviluppa quando si verifica un’alterazione del normale processo di desquamazione del cuoio capelluto. Alcune condizioni patologiche provocano un’infiammazione locale, che accelera il turnover cellulare e porta alla formazione di scaglie visibili. Inoltre, l’eccessiva produzione di sebo può creare un ambiente favorevole alla proliferazione di funghi e all’insorgenza di dermatite seborroica.
Diversi fattori possono aumentare il rischio di sviluppare la forfora, tra cui:
Il trattamento della forfora varia in base alla gravità e alla causa sottostante. Le opzioni principali includono:
La forfora è una condizione comune ma gestibile. Comprendere le sue cause e i meccanismi sottostanti è fondamentale per sviluppare strategie di trattamento efficaci. Ulteriori ricerche sono necessarie per esplorare nuove terapie e migliorare la qualità della vita delle persone con questa condizione. Un approccio multidisciplinare con il coinvolgimento di uno specialista dermatologo, può offrire il supporto necessario per affrontare sia gli aspetti fisici sia psicologici associati alla forfora.
The post Forfora: le cause e i rimedi appeared first on Humanitas.
Il 18 e il 19 giugno 2025 il Centro Congressi dell’IRCCS Istituto Clinico di Rozzano ospiterà la quinta edizione del convegno di Cardiologia diretto dal dottor Giovanni La Canna, Responsabile del Servizio di Diagnostica Ecografia Applicata e dalla dottoressa Lucia Torracca, Responsabile di Cardiochirurgia. Il convegno, intitolato “Il cardiopatico controverso”, sarà focalizzato su aspetti controversi della gestione diagnostica e terapeutica delle cardiopatie, che costituiscono fonte di dilemmi e sfide decisionali nella pratica clinica, per un’ottimale applicazione nel singolo paziente sia dei percorsi convenzionali che delle innovazioni emergenti.
I panel previsti durante il congresso si concentreranno sull’approfondimento di diverse patologie cardiache, tra cui:
Sarà inoltre lasciato spazio anche alle emergenti tecniche diagnostiche tra cui la Photon-Counting CT e a trattamenti innovativi tra cui il trattamento transcatetere per le cardiopatie congenite, la riparazione mitralica edge-edge percutanea per il trattamento dell’ostruzione dinamica SAM-correlata, l’autotrapianto atriale nel sarcoma, l’impianto valvola transcatetere e la TAVI.
Nel corso del convegno una sessione sarà dedicata a un approccio innovativo nel trattamento chirurgico nei sarcomi cardiaci dal titolo “L’autotrapianto atriale nel sarcoma: modello 3D e applicazione clinica”. Questa tecnica rappresenta un’importante finestra terapeutica nel trattamento delle patologie tumorali del cuore e si avvale dell’applicazione di modelli previsionali 3D all’interno del progetto AYA (Adolescent and Young Adult, adolescenti e giovani adulti interessati da tumore) dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas.
Per intervenire in modo efficace, gli ingegneri del 3D Lab di Humanitas Innovation Building hanno realizzato un phantom, ovvero una copia fedele e tridimensionale del cuore, progettata strato per strato per ricreare con precisione texture, geometria e proprietà meccaniche. Questo modello 3D è fondamentale perché consente di preparare e allenare i cardiochirurghi prima di interventi ad alto rischio, riducendo i rischi operatori e pianificando nel dettaglio ogni fase dell’intervento.
Il convegno vedrà anche un intervento del professor Umberto Galimberti, filosofo e psicanalista, che presenterà una lettura filosofica intitolata: “Tachicardia. L’emozione d’amore”.
Per maggiori informazioni sul programma clicca qui.
The post Cardiopatie: il convegno in Humanitas appeared first on Humanitas.
La tosse persistente con produzione anche quotidiana di catarro, bronchiti e polmoniti ricorrenti, associate talvolta alla presenza di sangue nell’espettorato e fiato corto, sono segnali che possono indicare la presenza di bronchiectasie, una malattia respiratoria cronica caratterizzata dalla dilatazione permanente e anomala di alcuni bronchi, i canali che trasportano l’aria ai polmoni.
Le bronchiectasie sono una patologia piuttosto diffusa (si stima che interessino circa 400 adulti ogni 100.000 persone), ma spesso vengono diagnosticate tardivamente. Il trattamento deve essere personalizzato, in base alle caratteristiche cliniche del singolo paziente.
Ne parliamo con il professor Stefano Aliberti, Responsabile dell’Unità Operativa di Pneumologia presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano ed esperto internazionale di bronchiectasie.
Le bronchiectasie si manifestano con una dilatazione irreversibile di alcuni bronchi, accompagnata da sintomi come tosse cronica, abbondante produzione di catarro e infezioni respiratorie frequenti. In alcuni casi possono comparire anche sintomi secondari, come presenza di sangue nell’espettorato (emoftoe o emottisi), difficoltà respiratoria, stanchezza, febbricola e sudorazione notturna.
La malattia può essere congenita o acquisita, ed è spesso associata ad altre condizioni cliniche. Tra le cause note vi sono patologie genetiche o sistemiche come la fibrosi cistica, la discinesia ciliare primitiva o alcune forme di immunodeficienza. Anche le malattie autoimmuni o infiammatorie croniche intestinali – come l’artrite reumatoide, la colite ulcerosa e la malattia di Crohn – possono essere associate alle bronchiectasie. Inoltre, le bronchiectasie possono associarsi ad altre malattie respiratorie croniche, come la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e l’asma. Tuttavia, in circa il 40-50% dei casi, la causa rimane sconosciuta (forma idiopatica).
La diagnosi di bronchiectasie viene formulata dallo specialista pneumologo sulla base dei sintomi clinici e confermata mediante una TAC del torace ad alta risoluzione, l’esame più indicato per evidenziare le alterazioni strutturali dei bronchi. Purtroppo, i sintomi – spesso aspecifici – possono ritardare la diagnosi, poiché comuni anche ad altre patologie respiratorie.
Una volta diagnosticata la malattia, il trattamento viene personalizzato e si basa sull’individuazione dei cosiddetti “tratti trattabili”, come la produzione di muco e la presenza di infezioni. Uno degli strumenti principali della terapia è la fisioterapia respiratoria, fondamentale per facilitare l’espulsione del catarro, migliorare la funzione respiratoria e ridurre il rischio di infezioni.
A seconda del caso, la fisioterapia può essere affiancata da terapie farmacologiche, che comprendono broncodilatatori, macrolidi (farmaci con proprietà antinfiammatorie e immunomodulanti) e antibiotici somministrazione per via aerosolica.
La gestione delle bronchiectasie richiede un approccio multidisciplinare, data la possibile presenza di cause sottostanti e comorbidità. Accanto allo pneumologo e al fisioterapista respiratorio, possono intervenire altri specialisti: l’otorinolaringoiatra (in caso di sinusite cronica), il gastroenterologo (in presenza di reflusso gastroesofageo, colite ulcerosa o malattia di Crohn), il microbiologo (per l’identificazione dei patogeni responsabili delle infezioni) e il radiologo (per la valutazione di eventuali tracce di sangue nell’espettorato).
La presa in carico coordinata e specialistica è essenziale per garantire una gestione efficace della malattia e per migliorare la qualità di vita delle persone con bronchiectasie.
The post Bronchiectasie: i sintomi e come si curano appeared first on Humanitas.
A pochi metri dai reparti ospedalieri dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas, nel cuore del campus di Humanitas University, è stato inaugurato un nuovo laboratorio di imaging tra i più avanzati d’Europa: una piattaforma che unisce la microscopia ottica e quella elettronica in un’unica tecnologia, chiamata CLEM (Correlative Light and Electron Microscopy).
Grazie a queste tecnologie, i ricercatori possono arrivare a realizzare una vera e propria “TAC cellulare”, capace di esplorare in 4D (spazio + tempo) il comportamento delle cellule all’interno dei tessuti. Un salto nel microscopico per capire meglio eventi macroscopici: con l’integrazione di questi strumenti, sarà possibile comprendere come nascono e si sviluppano molte malattie. Un’innovazione nella Ricerca traslazionale, che mira a portare scoperte dal microscopio al letto del paziente.
«Humanitas ha una missione chiara: sviluppare soluzioni diagnostiche e terapeutiche per migliorare la vita dei pazienti – afferma il prof. Luigi Maria Terracciano, Direttore Scientifico di IRCCS Istituto Clinico Humanitas e Rettore di Humanitas University –. Unire l’esperienza dei nostri medici ricercatori con tecnologie avanzate rappresenta il modo migliore per raggiungere questo obiettivo.
La piattaforma CLEM, insieme alle tecnologie ed expertise già presenti – come la proteomica, la metabolomica e la biologia computazionale – ci permetterà di esplorare in modo approfondito le strutture e i meccanismi biologici alla base delle malattie. Rappresenta dunque una risorsa trasversale per la Ricerca d’avanguardia».
Il laboratorio – situato nel Roberto Rocca Innovation Building di Humanitas University – è uno dei primi in Europa, e il primo in Italia, integrato in un ospedale di Ricerca. A guidarlo, in collaborazione con i medici e ricercatori di Humanitas, c’è Edoardo D’Imprima, rientrato dall’European Molecular Biology Laboratory (EMBL) di Heidelberg dopo un Dottorato di Ricerca al Max Plank Institute of Biophysics di Francoforte.
«La CLEM rappresenta una nuova frontiera per la Biologia e la Medicina, perché consente di collegare funzione e struttura – spiega Edoardo D’Imprima, responsabile del CLEM di Humanitas –. In un’epoca in cui la Medicina di precisione richiede una comprensione sempre più profonda e dettagliata dei processi biologici, che sono altamente complessi, la CLEM unisce “il film” della dinamica cellulare con l’istantanea del dettaglio molecolare delle strutture coinvolte. Il tutto in tre dimensioni e tradotto in numeri, grazie all’Intelligenza Artificiale e alla potenza di calcolo, per fornire ai medici dati, una risposta quantitativa, e non solo immagini».
La tecnologia CLEM unisce due mondi: quello della microscopia a fluorescenza, che osserva cellule dei pazienti, vive e in azione, e quello della microscopia elettronica, che ne mostra la struttura interna con una risoluzione quasi atomica. Ma non si ferma qui: il laboratorio utilizza anche tecniche di Volume Electron Microscopy, che permettono una visione tridimensionale dettagliatissima – come passare dalla mappa di una città, vista dall’alto, alla passeggiata per le sue strade.
Altro elemento chiave è la crio-microscopia, che “congela” i campioni biologici in pochi millisecondi con azoto liquido ad altissima pressione, evitando la formazione di ghiaccio e preservando la struttura interna del tessuto. In questo modo si può osservare un evento biologico in tempo reale, bloccarlo e poi analizzarlo in 3D, come se si fermasse il tempo.
Una tecnologia che apre nuove strade nella comprensione di malattie complesse, con potenziali ricadute su diagnosi e terapie del futuro.
Il CLEM si somma alle tecnologie già presenti nell’Innovation Building di Humanitas University, tra cui il 3D Innovation Lab, una piattaforma clinica che unisce modellazione 3D, stampa e biofabbricazione. A questo si aggiunge l’introduzione di nuove tecnologie di imaging clinico – tra cui la TAC a conteggio di fotoni e una RMN a 3 Tesla di ultima generazione – che permettono una comprensione senza precedenti delle patologie cardiologiche, neurologiche, oncologiche e polmonari. Entrambe le strumentazioni segnano un progresso da record: se la prima macchina è la terza di questo tipo a essere installata in Italia, la Risonanza Magnetica è un primato assoluto negli ospedali Italiani, con poche altre installazioni in corso nel mondo. Acquistate da Humanitas University grazie ai fondi del Progetto Anthem – finanziato con il Piano Nazionale Complementare al PNRR dal Ministero dell’Università e della Ricerca – le due macchine saranno interamente dedicate ai progetti di Ricerca clinica di frontiera promossi da Anthem.
In questo ecosistema interdisciplinare, Humanitas si propone come un polo di attrazione per ricercatori, medici e ingegneri da tutto il mondo, con l’obiettivo di sviluppare una Medicina sempre più precisa, predittiva e personalizzata.
The post Ospedale e università: super-microscopi e AI per la cura e la Ricerca appeared first on Humanitas.
La lombalgia è un dolore che interessa la parte inferiore della schiena, situata tra la fine delle costole e i glutei, e può essere invalidante, compromettendo il normale svolgimento delle attività quotidiane. Spesso, questa condizione si associa a posture scorrette durante la seduta, le quali esercitano stress sui dischi vertebrali. Tra le cause alla base della lombalgia, è importante considerare anche il sovrappeso: l’aumento di peso corporeo, infatti, contribuisce allo stress sulla colonna vertebrale, favorendone l’insorgenza e la persistenza.
Ne parliamo con il professor Alessio Baricich, Responsabile del Dipartimento di Riabilitazione e Recupero Funzionale presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.
Il dolore associato alla lombalgia può essere acuto, sordo, bruciante o una combinazione di queste caratteristiche. Può manifestarsi in modo episodico o persistente e può essere correlato o meno a specifiche attività, come sedersi, piegarsi o sollevare oggetti pesanti. In particolare si distingue in: dolore acuto, se dura meno di 6 settimane: dolore subacuto, se persiste tra 6 e 12 settimane; e dolore cronico, se si protrae oltre le 12 settimane.
Il mal di schiena può essere di origine specifica o non specifica. Nel primo caso, la lombalgia è attribuibile a condizioni mediche sottostanti o a condizioni strutturali della colonna vertebrale.
La lombalgia senza causa specifica è invece spesso associata a fattori come postura scorretta e sovraccarico meccanico. Tra le cause possono aversi:
Il dolore alla schiena nelle persone con sovrappeso può essere causato da diverse alterazioni associate a questa condizione. L’aumento del grasso addominale, infatti, può portare a un’inclinazione in avanti della zona lombare, modificando la naturale curva della colonna vertebrale e sottoponendo i dischi intervertebrali e i nervi a uno stress eccessivo. Questo stress sui dischi, che sono i “cuscinetti” posti tra una vertebra e l’altra, può determinare la loro compressione, degenerazione o protrusione.
The post Lombalgia: il sovrappeso causa mal di schiena? appeared first on Humanitas.
Il respiro è vita. È l’aria che, passando dai polmoni, arriva a nutrire il cuore garantendone l’efficienza e la salute. Ed è il divertimento di poter usare la voce. Per questi motivi, il respiro va salvaguardato il più possibile prendendosene cura e abolendo le cattive abitudini, una su tutte il fumo di sigaretta, che ha dirette conseguenze negative sui polmoni e sul muscolo cardiaco.
Venerdì 30 maggio, in preparazione alla Giornata Mondiale contro il fumo, l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas e Humanitas University hanno proposto un’esperienza interattiva durante la quale un coro ha intonato, insieme ai pazienti, accompagnatori e studenti, canzoni famose ispirate al cuore e al respiro. Con le note di Every breath you take, Cuoricini, O sole mio, Brava, sono state messe alla prova la capacità polmonare e il ritmo cardiaco per focalizzare l’attenzione sull’importanza di mantenere l’organismo in salute, prendendosi cura giorno dopo giorno di questi organi vitali, evitando le abitudini scorrette e dannose.
A cantare, un coro di giovani artisti provenienti da Scuole Civiche e Conservatori nazionali. Accanto a loro, medici e ricercatori dell’ospedale per incontrare pazienti e visitatori, informare e far provare, attraverso il canto, quanto sia importante un respiro efficace e libero.
“Non smettere di cantare” si è declinato in più momenti: dalle 11 alle 12 nel giardino del building 2, in via Manzoni 56 a Rozzano. A seguire, il coro si è spostato nel Campus internazionale di Humanitas University, per coinvolgere studenti e studentesse con canzoni in lingua inglese.
È stata un’esperienza interattiva in cui i cantanti hanno mostrato ai presenti come ascoltare il loro fiato in modo semplice e naturale, per cogliere la differenza con un respiro affannato a causa del fumo. Durante la giornata, gli specialisti di Humanitas hanno illustrato come prendersi cura del proprio respiro e come liberarsi dal vizio del fumo.
I danni sui polmoni e sul respiro si notano fin dalle prime sigarette e peggiorano con il tempo, anche se spesso i sintomi evidenti arrivano solo dopo anni.
«Questo è uno dei motivi per cui è fondamentale non iniziare mai, soprattutto in giovane età – spiega il prof. Stefano Aliberti, responsabile di Pneumologia dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas e docente di Humanitas University. Ogni momento è buono per smettere e i risultati sono visibili in poco tempo: dopo una settimana dall’ultima sigaretta, i recettori sensoriali di gusto e olfatto iniziano a rigenerarsi, intensificando la percezione dei sapori e degli odori. Dopo un mese, si riduce la dispnea (fiato corto) e aumenta la tolleranza allo sforzo. Tosse, catarro, affanno si attenuano. Dopo un anno, il rischio di infarto miocardico è più basso di circa il 50% rispetto a chi continua a fumare, i vasi sanguigni tornano a dilatarsi in modo più efficace e la funzionalità polmonare, soprattutto nei giovani, risulta vicina ai livelli di un non fumatore. Dopo 5 anni, il pericolo di ictus cerebrale può essere considerato simile a quello di un non fumatore» (si veda scheda di approfondimento con i benefici a breve e lungo termine).
Il fumo è la prima causa prevenibile di morte: secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia si stimano oltre 93mila morti ogni anno attribuibili al fumo, cioè più di 250 persone al giorno.
«È ormai dimostrato che il rischio di tumori polmonari aumenta in funzione del numero di sigarette fumate e dell’età di inizio dell’abitudine al fumo – spiega il prof. Giuseppe Marulli, responsabile di Chirurgia Toracica dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas e docente di Humanitas University -. Il rischio relativo dei fumatori di ammalarsi di tumore al polmone è più alto di circa 14 volte rispetto a quello dei non fumatori ed è addirittura fino a 20 volte maggiore se si fumano più di 20 sigarette al giorno». Il tumore del polmone in Italia è fortemente caratterizzato per genere con una netta prevalenza maschile anche se, a partire dagli anni Novanta, si è notata una decisa riduzione sia della mortalità sia dell’incidenza di nuovi casi grazie alle cure sempre più efficaci e personalizzate (si veda scheda di approfondimento con le cure possibili).
Per abbandonare il vizio delle sigarette è consigliabile rivolgersi a un Centro Antifumo, dove viene attivato un supporto farmacologico, psicologico e di counselling. «La tecnica che usiamo è basata sull’empatia – spiega la dott.ssa Licia Vanessa Siracusano, oncologa e responsabile del Centro Antifumo dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas -. L’obiettivo è far capire alle persone che non sono sole in questa battaglia, che smettere di fumare è possibile se lo si vuole veramente, mettendo in campo la motivazione personale e allontanando la paura del fallimento. Si promuove un percorso personalizzato che aiuti a identificare altre abitudini da sostituire alla dannosa sigaretta: ognuno trova la propria, non ci sono regole precise e consigli validi per tutti. Se si crea il giusto rapporto di fiducia medico-paziente, la percentuale di successo è del 100%».
La sigaretta elettronica può essere uno step del percorso che porta a smettere di fumare però bisogna essere veramente convinti di non farla diventare un sostituto di quella di tabacco. «Se, dopo un primo periodo di supporto con la sigaretta elettronica si continua a usarla, la dipendenza rimane perché la sigaretta elettronica è a base di nicotina – spiega la dott.ssa Siracusano -. Anche se non avviene una combustione entrano lo stesso nell’organismo sostanze dannose, seppur in minore quantità. Anche l’elettronica fa male e comunque fa mantenere la gestualità e la dipendenza che generano un circolo vizioso» (si veda scheda di approfondimento con i consigli per smettere e i vero/falso).
Durante l’evento c’è stato un momento dedicato alla Ricerca clinica e indipendente e gli studi che Humanitas sta portando avanti grazie al 5×1000. Oltre 45 progetti di Ricerca sono stati realizzati grazie a chi ha scelto di donare, aiutando medici e ricercatori a combattere malattie sempre più complesse come i tumori, le malattie del sistema immunitario, del cuore, del cervello e dell’intestino. Oggi, grazie al 5×1000, Humanitas ha avviato 14 nuovi progetti di Ricerca all’interno di 5 Programmi: Immunologia, Cancro, Neuroscienze, Gastroenterologia, Cardio-polmonare.
«Ogni scoperta in campo medico nasce dalla Ricerca, e ogni passo avanti è possibile grazie al sostegno di chi sceglie di credere nel futuro della Medicina. I medici e i ricercatori di Humanitas lavorano ogni giorno fianco a fianco su più fronti per cambiare il volto delle patologie cardiache tra cui insufficienza cardiaca, malattia coronarica, infezioni croniche. Le équipe di Pneumologia studiano parimenti le malattie polmonari ostruttive e interstiziali. L’obiettivo è comune: migliorare le cure, sviluppare nuove terapie personalizzate e anticipare le diagnosi. Ma la Ricerca ha bisogno dell’aiuto di tutti: le firme del 5×1000 ci aiutano a sostenerla», commenta il prof. Gianluigi Condorelli, Direttore del programma di Ricerca Cuore-Polmoni di Humanitas.
Per sostenere gli oltre 500 ricercatori dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas è sufficiente mettere una firma nello spazio dedicato alla Ricerca Sanitaria nella dichiarazione dei redditi, e inserire il codice fiscale 10125410158 – Sito: 5×1000.humanitas.it.
The post “Non smettere di cantare”: con un coro in ospedale risuona la consapevolezza sulla salute del respiro e del cuore appeared first on Humanitas.
A seguito del trattamento radioterapico delle metastasi al cervello, distinguere tra le alterazioni radio-indotte del tessuto cerebrale e la progressione del tumore è una sfida diagnostica cruciale. Le tecniche diagnostiche convenzionali, come la risonanza magnetica, spesso non sono dirimenti, perché le caratteristiche radiologiche dei due tipi di tessuto sono molto simili. Secondo i risultati di un nuovo studio pubblicato su Neuro Oncology, l’Intelligenza Artificiale potrebbe superare queste limitazioni: i risultati dimostrano la superiorità dell’AI nel distinguere tra radionecrosi e progressione tumorale in pazienti con metastasi cerebrali sottoposti a radiochirurgia stereotassica, una tecnica di radioterapia ad alta precisione.
La ricerca, condotta da un team multidisciplinare di neuroradiologi, oncologi, radioterapisti e patologi in collaborazione tra IRCCS Istituto Clinico Humanitas, Università La Sapienza di Roma e l’University Hospital di Tubinga, è stata coordinata dal prof. Letterio Politi, responsabile della Neuroradiologia di IRCCS Istituto Clinico Humanitas, e dalla prof.ssa Marta Scorsetti, responsabile di Radioterapia e Radiochirurgia, entrambi docenti di Humanitas University.
I ricercatori hanno analizzato retrospettivamente 124 lesioni cerebrali in pazienti sottoposti a radioterapia stereotassica per le quali era disponibile una conferma istologica, ottenuta tramite biopsia o resezione chirurgica. Lo studio ha impiegato approcci di radiomica, che estraggono informazioni quantitative dalle immagini mediche, e modelli di deep learning, algoritmi di AI che sfruttano reti neurali artificiali per apprendere.
I risultati hanno mostrato che gli algoritmi di Intelligenza Artificiale sono in grado di distinguere con elevata accuratezza la radionecrosi dalla progressione tumorale. L’algoritmo, dopo essere stato allenato sui casi clinici dell’ospedale, è stato testato retrospettivamente su un gruppo di pazienti esterno, che ha permesso di validare l’approccio e generalizzare i risultati.
«La radiochirurgia stereotassica è una tecnica efficace per il trattamento delle metastasi cerebrali – spiega Marta Scorsetti -. Tuttavia la distinzione tra radionecrosi, un effetto collaterale del trattamento, e la progressione del tumore può essere complessa. La nostra ricerca dimostra che l’AI ha il potenziale per fornire uno strumento diagnostico più accurato, potenzialmente in grado di ridurre la necessità di procedure bioptiche o chirurgiche esplorative».
«Anche se saranno necessari ulteriori ricerche per validare questi modelli in popolazioni più ampie di pazienti, i risultati ottenuti sono promettenti e suggeriscono che l’AI potrebbe diventare uno strumento prezioso a supporto del lavoro dei neuroradiologi di oggi e di domani», afferma Letterio Politi, oggi anche alla guida del corso di Laurea Magistrale in Data Analytics and Artificial Intelligence in Health Sciences (DAIHS), nato dalla collaborazione tra Humanitas University e l’Universitá Bocconi per unire competenze biomediche e sanitarie ad expertise di AI, data science e data analytics.
Concludono Scorsetti e Politi: «La ricerca rappresenta un importante passo avanti nel campo della neuro-oncologia e un’ulteriore dimostrazione di come tecnologie avanzate e lavoro multidisciplinare possano combinarsi per migliorare le nostre capacità di diagnosi e cura, avvicinandosi sempre più ad approcci di medicina di precisione».
The post Metastasi cerebrali: l’AI distingue i nuovi segni della malattia dagli effetti della radioterapia appeared first on Humanitas.
Il reflusso gastroesofageo si verifica quando i succhi gastrici risalgono dallo stomaco nell’esofago. Può accadere occasionalmente, soprattutto dopo pasti abbondanti. Tuttavia, se diventa frequente e provoca irritazione dell’esofago con comparsa di sintomi, si parla di malattia da reflusso gastroesofageo. Questa condizione va monitorata per prevenire possibili complicanze come esofagite, ulcere esofagee, stenosi esofagea ed esofago di Barrett.
Ne parliamo con la dottoressa Roberta Maselli, gastroenterologa presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas Rozzano.
I sintomi del reflusso gastroesofageo variano da persona a persona e possono essere distinti in tipici e atipici.
I sintomi tipici includono:
I sintomi atipici o extra-esofagei includono:
Esiste un forte legame bidirezionale tra la mente e l’apparato gastrointestinale: l’intestino è spesso definito il “secondo cervello” a causa della sua complessità e della sua connessione diretta con il sistema nervoso centrale. Condizioni di stress intenso, nonché disturbi come ansia e depressione, possono influenzare negativamente il funzionamento del sistema digerente. Questo rapporto è evidente, ad esempio, nelle persone con sindrome del colon irritabile, che spesso manifestano anche difficoltà legate al sonno o alla sfera emotiva. Allo stesso modo, periodi di forte stress o squilibri psicologici possono aumentare l’acidità gastrica e peggiorare il reflusso gastroesofageo.
Apportare modifiche allo stile di vita e alle abitudini alimentari può aiutare a prevenire il reflusso e ridurre il rischio di complicanze.
In caso di reflusso gastroesofageo, l’alimentazione gioca un ruolo importante ed è importante scegliere cibi facilmente digeribili e poco irritanti, come per esempio:
L’idratazione è fondamentale: è opportuno bere due litri d’acqua al giorno possibilmente lontano dai pasti, così da evitare di diluire i succhi gastrici e rallentare il processo digestivo.
Le spezie vanno moderate, privilegiando curcuma e zenzero, che aiutano la motilità dell’apparato digerente e attenuano i sintomi del reflusso.
Gli alimenti grassi e acidi possono peggiorare il reflusso. È consigliabile limitare il consumo di:
Alcune abitudini possono contribuire a ridurre il reflusso:
Se le modifiche allo stile di vita non bastano, lo specialista potrebbe suggerire una terapia farmacologica mirata a ridurre i sintomi, guarire eventuali danni all’esofago e prevenire le complicanze. I trattamenti includono:
Nei casi più gravi o quando la terapia medica non è sufficiente, può essere considerato un intervento chirurgico o tecniche endoscopiche anti-reflusso per rinforzare la valvola tra stomaco ed esofago.
Il reflusso gastroesofageo è un disturbo comune, ma con le giuste abitudini e, se necessario, una terapia mirata, si può tenere sotto controllo e migliorare la qualità di vita. Se i sintomi persistono, è importante consultare uno specialista per evitare complicanze.
The post I sintomi del reflusso gastroesofageo appeared first on Humanitas.
Con l’arrivo della primavera, le giornate si allungano e aumenta il tempo trascorso all’aria aperta.
Il cambio di stagione, il vento, gli sbalzi termici e la presenza di pollini possono influenzare la salute della pelle, in particolare nelle persone predisposte. È in questo periodo che si può assistere alla riacutizzazione di alcune patologie croniche o alla comparsa di sintomi legati alla sensibilità cutanea.
Approfondiamo l’argomento con la dottoressa Alessandra Narcisi, dermatologa presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.
In primavera non è raro osservare irritazioni cutanee anche in persone non allergiche. Prurito, secchezza e comparsa di eczemi sono spesso legati ai cambiamenti climatici e colpiscono con maggiore frequenza chi ha la pelle sensibile o patologie dermatologiche, come per esempio la dermatite atopica.
Le persone atopiche sono particolarmente vulnerabili e la pelle secca può reagire con manifestazioni infiammatorie di diversa intensità. Il rischio principale è il grattarsi persistente, che può causare ispessimenti cutanei e aggravare il quadro clinico.
L’irritazione può colpire anche zone specifiche come il volto, in particolare le palpebre e la regione perilabiale, e si può associare a rinite o congiuntivite allergica. In questi casi, la pelle inizialmente si presenta secca e arrossata, ma in assenza di trattamento può evolvere in ragadi dolorose. Il primo passo è idratare in profondità e utilizzare terapie anti-infiammatorie locali o per via orale o iniettiva dietro indicazione medica.
La dermatite atopica è una patologia infiammatoria cronica della pelle caratterizzata da secchezza, prurito e comparsa di eczemi. Non si tratta di una malattia stagionale, ma i cambiamenti ambientali tipici della primavera possono rappresentare un fattore aggravante.
Le escursioni termiche, il maggiore contatto con l’aria e la presenza di pollini possono irritare la pelle già fragile dei soggetti atopici, soprattutto nei bambini. È fondamentale evitare di grattarsi per non peggiorare la situazione e causare ispessimenti cutanei e sovrainfezioni.
La cura prevede l’uso regolare di creme emollienti e detergenti delicati, in particolare oli detergenti con azione idratante. Nei casi più acuti, può essere necessario ricorrere a terapie topiche antinfiammatorie o, in presenza di prurito intenso, a farmaci sistemici.
La dermatite allergica da contatto è una reazione infiammatoria che si verifica quando la pelle entra in contatto con specifiche sostanze allergeniche. Si presenta con lesioni eritematose, secche, desquamanti e molto pruriginose, localizzate nella zona colpita, che spesso è simmetrica, spesso su mani e volto, ma anche il tronco e gli arti possono essere interessati.
Pur non essendo una patologia stagionale, la dermatite allergica da contatto può manifestarsi in primavera a causa dell’aumentato uso di cosmetici, creme, prodotti per la pelle o l’esposizione a sostanze vegetali e ambientali.
La diagnosi si effettua attraverso il patch test, un esame che permette di identificare con precisione l’allergene responsabile. Una volta accertata la positività è fondamentale evitare il contatto con la sostanza irritante o allergenica, seguendo attentamente le indicazioni del dermatologo. Il trattamento si basa su terapie locali, in genere a base di corticosteroidi, associate a prodotti lenitivi e protettivi per alleviare i sintomi e favorire la guarigione.
L’esposizione al sole primaverile, anche se moderata, può causare reazioni cutanee. Le fotodermatiti sono infiammazioni dovute a una risposta anomala della pelle alla luce solare, talvolta amplificata dalla presenza di sostanze fotosensibilizzanti contenute in profumi, cosmetici o farmaci.
Le aree più colpite sono mani, volto e piedi, dove possono comparire arrossamenti, prurito, bolle o lesioni. È importante preparare la pelle all’esposizione graduale al sole, anche con l’aiuto di integratori a base di nicotinamide (vitamina PP), utili non solo per migliorare la resistenza della cute ai raggi UV, ma anche per prevenire la formazione di cheratosi attiniche e altre lesioni pre-cancerose.
In caso di reazione cutanea, è necessario evitare ulteriori esposizioni e ricorrere a creme antinfiammatorie specifiche.
Le creme solari non devono essere utilizzate solo d’estate. Anche in primavera, i raggi UV possono provocare danni significativi alla pelle. I raggi UVA accelerano l’invecchiamento cutaneo, mentre gli UVB sono responsabili degli arrossamenti e delle scottature. L’esposizione prolungata senza protezione aumenta anche il rischio di sviluppare tumori della pelle, come il melanoma, i basaliomi e gli epiteliomi squamo-cellulari.
Bisogna applicare quotidianamente una crema solare con fattore di protezione SPF 30 o 50, preferibilmente anche con funzione idratante.
Quando si trascorrono diverse ore all’aperto, non bisogna dimenticarsi di proteggere anche il cuoio capelluto e il contorno occhi con cappelli e occhiali da sole.
The post Pelle in primavera: come averne cura appeared first on Humanitas.
Il tumore al polmone rappresenta una delle forme oncologiche più diffuse, in particolare tra la popolazione maschile, dove occupa il secondo posto tra le diagnosi più frequenti, mentre tra le femmine è al terzo posto.
In Italia, secondo i dati più recenti (dati AIRTUM – Associazione Italiana Registri Tumori), solo nel 2023 sono stati rilevati circa 44.000 nuovi casi. Di questi, la maggior parte ha riguardato persone di sesso maschile, con un’incidenza quasi doppia rispetto al sesso femminile.
chiIl fumo è il principale fattore di rischio per questa neoplasia. Approfondiamo l’argomento con il professor Giuseppe Marulli, responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia toracica presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.
Il tumore del polmone ha origine da una proliferazione incontrollata delle cellule che rivestono gli alveoli, le strutture responsabili dello scambio tra ossigeno e anidride carbonica nei polmoni. Quando queste cellule subiscono alterazioni, perdono la loro funzione e iniziano a crescere in maniera disorganizzata, danneggiando il tessuto circostante. Se nelle prime fasi l’organismo tenta di riparare i danni provocati dalle sostanze tossiche, nel tempo le continue aggressioni rendono inefficaci questi meccanismi di difesa, facilitando la formazione della massa tumorale. Questa può compromettere il passaggio dell’aria nei bronchi, causare sanguinamenti e ostacolare le normali funzioni respiratorie.
Una delle difficoltà principali nel contrastare il tumore polmonare è l’assenza di sintomi nelle fasi iniziali. La malattia tende a manifestarsi in maniera silenziosa, e spesso viene identificata solo quando ha già raggiunto uno stadio avanzato. Per questo è fondamentale prestare attenzione ad alcuni segnali che, sebbene possano sembrare comuni, devono essere indagati soprattutto in presenza di fattori di rischio.
Tra questi:
Nonostante la sua aggressività, il tumore al polmone può essere affrontato con migliori probabilità di successo grazie agli attuali strumenti diagnostici e terapeutici. La diagnosi precoce gioca un ruolo cruciale, permettendo di intervenire quando la malattia è ancora in fase localizzata. In questo contesto, gli screening rappresentano una risorsa fondamentale, soprattutto per i soggetti a rischio. Tecniche moderne come la tomografia computerizzata a bassa dose (TAC spirale) consentono di individuare alterazioni polmonari anche di piccole dimensioni, riducendo l’esposizione alle radiazioni e aumentando l’efficacia del controllo.
Quando si parla del fumo come principale fattore di rischio del tumore al polmone, è fondamentale sgomberare il campo da un equivoco diffuso: fumare è una vera e propria dipendenza, attivata dalla nicotina, una sostanza in grado di creare assuefazione sia a livello fisico che psicologico.
Il corpo sviluppa una tolleranza che rende difficile smettere, innescando sintomi da astinenza come irritabilità, ansia e agitazione. A livello cerebrale, la nicotina agisce legandosi a specifici recettori che stimolano il rilascio di ormoni associati al benessere, creando un ciclo di gratificazione che rafforza l’abitudine al fumo.
Oltre alla nicotina, le sigarette contengono un mix estremamente pericoloso di sostanze: il catrame, che racchiude migliaia di agenti tossici e cancerogeni, e il monossido di carbonio, che riduce la quantità di ossigeno trasportata dal sangue, costringendo l’organismo a produrre più globuli rossi e aumentando così la densità ematica, con il conseguente rischio di infarti e ictus. Ma i danni non si limitano all’apparato cardiovascolare: le sostanze cancerogene della sigaretta agiscono su tutto l’organismo e sono correlate allo sviluppo di diversi tipi di tumore, non solo ai polmoni ma anche a pancreas, rene, vescica e area testa-collo.
È importante sottolineare che il rischio non dipende solo dal numero di sigarette fumate ogni giorno, ma soprattutto dagli anni di esposizione: più a lungo si fuma, più aumenta il pericolo di sviluppare gravi patologie. Anche le sigarette elettroniche non rappresentano una soluzione sicura: pur evitando la combustione, contengono comunque nicotina e altre sostanze potenzialmente dannose.
Presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano è disponibile un protocollo innovativo di dimissione precoce associata a telemedicina (NEW ERAS), validato nell’ambito di uno studio clinico dell’Unità di Chirurgia Toracica, che consente la dimissione a 48 dall’intervento chirurgico e il monitoraggio al domicilio del paziente. La chirurgia mininvasiva con cui si effettuano gli interventi tumore al polmone, infatti, consente un recupero post-operatorio più veloce rispetto alla chirurgia tradizionale, che, con la telemedicina e il supporto da remoto degli specialisti Humanitas, può svolgersi in tutta la comodità dal domicilio del paziente. Per accedere a questo programma è necessaria la presenza di un caregiver, che verrà informato insieme alla persona che deve effettuare l’intervento sulla strumentazione per la telemedicina da utilizzare post-intervento e che viene fornita direttamente da Humanitas.
Al momento della dimissione, che avviene in questo caso generalmente a 48 ore dalla chirurgia e con ancora il drenaggio, il paziente torna presso il domicilio con la possibilità di mantenersi in contatto diretto con infermieri, anestesisti e medici grazie al device di telemedicina. Sia la misurazione dei parametri (come temperatura corporea, saturazione, frequenza cardiaca, pressione arteriosa), sia la gestione del drenaggio, vengono effettuati da paziente e caregiver seguendo le istruzioni in televisita e dopo 3-4 giorni il paziente può tornare in ospedale per la rimozione del drenaggio e l’avvio al normale follow-up in base all’esito istologico. A disposizione di paziente e caregiver, inoltre, ci sono numeri telefonici dedicati per poter gestire eventuali urgenze e dirimere eventuali dubbi.
The post Tumore al polmone: i rischi del fumo appeared first on Humanitas.
Come ogni anno torna nelle piazze d’Italia l’Azalea della Ricerca di Fondazione AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul cancro). L’appuntamento è domenica 11 maggio, come sempre in corrispondenza con la Festa della Mamma e in coincidenza con il sessantesimo di Fondazione AIRC. Per contribuire a sostenere i ricercatori AIRC nello studio dei principali tipi di tumore che interessano la popolazione femminile, si potrà trovare l’Azalea della Ricerca anche presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas giovedì 8 maggio al Building 8 e venerdì 9 maggio al Building 2.
Come ogni anno, sono migliaia i volontari AIRC presenti nelle oltre 3.900 piazze italiane per distribuire l’Azalea della Ricerca, a fronte di una donazione minima di 18 euro. Con l’azalea si riceve anche una pubblicazione speciale di Fondazione AIRC, con informazioni e testimonianze sulle patologie tumorali.
Per tutti coloro che sono impossibilitati a raggiungere le sedi ospedaliere o le piazze in cui si svolge l’iniziativa, è possibile ordinare l’Azalea della Ricerca anche tramite Amazon.it, ricevendola così direttamente al proprio domicilio. Ulteriori informazioni a questo link.
Roberta è la testimonial dell’Azalea della Ricerca 2025. Di Rieti, Roberta ha 37 anni e nel 2010 ha ricevuto una diagnosi di linfoma di Hodgkin. Il percorso di trattamento di Roberta ha previsto la chemioterapia, con lo sviluppo di effetti collaterali come la perdita di capelli, e il trapianto di midollo quando la malattia si è ripresentata. Roberta ha avuto modo di confrontarsi con medici altamente specializzati nella patologia che non hanno trascurato il lato umano e le terapie a cui ha avuto accesso si sono sviluppate grazie alla Ricerca.
Nel 2024 sono state circa 175600 le nuove diagnosi di cancro per la popolazione femminile. I dati AIOM-AIRTUM indicano una particolare incidenza per:
I progressi nella ricerca scientifica hanno però consentito negli anni un aumento delle diagnosi precoci, con l’utilizzo di una strumentazione all’avanguardia, oltre a terapie mirate e con meno effetti collaterali e tecniche chirurgiche meno invasive. Le percentuali di guarigione sono differenti da tumore a tumore e la diagnosi precoce è uno strumento fondamentale per aumentare l’efficacia delle cure.
Per quanto riguarda i trattamenti, gli studi si concentrano, tra le altre cose, su nuovi chemioterapici, come quello sviluppato dal professor Maurizio D’Incalci, Responsabile del Laboratorio di Farmacia Antitumorale presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, con il sostegno continuativo di AIRC: la trabectedina.
Le risorse raccolte dal 1984 ad oggi con l’Azalea della Ricerca hanno permesso di avere a disposizione importanti fondi per garantire la continuità nella Ricerca e nel lavoro di tutti gli specialisti e ricercatori impegnati nello studio e trattamento dei principali tumori a carico della popolazione femminile. L’Azalea della Ricerca contribuisce anche alla prevenzione, informando la popolazione sulle innovazioni della ricerca oncologica, i percorsi di diagnosi e i trattamenti.
The post L’Azalea della Ricerca di AIRC per la salute femminile appeared first on Humanitas.
Le CAR-T sono un trattamento innovativo, già in uso dal 2019, che utilizza le cellule T del sistema immunitario del paziente stesso, in cui viene inserito del materiale genetico in grado di esprimere un recettore per l’antigene tumorale che si vuole colpire. Si tratta di una terapia utilizzata in pazienti oncologici che presentano recidive o quando una o più linee di terapia falliscono. In particolare, le patologie oggi consolidate per l’impiego delle CAR-T sono i linfomi diffusi a grandi cellule B, i linfomi mantellari, i linfomi follicolari, i mielomi e la leucemia linfoblastica B.
Come funziona il trattamento CAR-T? Ne parliamo con la dottoressa Stefania Bramanti, capo sezione dell’Unita Trapianto e CAR-T presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.
Il sistema immunitario, normalmente, è in grado di controllare la crescita anomala delle cellule tumorali, ma, in determinate condizioni patologiche, questa capacità viene meno. In questi casi, grazie alla Ricerca scientifica e tecnologica, è oggi possibile modificare i linfociti T del sangue del paziente in modo che possano riconoscere e distruggere le cellule tumorali. Parliamo quindi di un trattamento complesso, che comporta procedure molto rigide e che, per questo, può essere effettuato solo in alcuni centri autorizzati e accreditati.
Le CAR-T, infatti, sono un farmaco personalizzato che comporta il prelievo e l’ingegnerizzazione delle cellule T del paziente. Più nello specifico, i linfociti T del sangue periferico vengono prelevati con uno strumento dedicato, un separatore cellulare, e quindi inviati presso un centro di manipolazione cellulare, dove avviene il processo di ingegnerizzazione genetica. Al termine di questo processo le CAR-T vengono infuse nel paziente per via endovenosa, con la stessa modalità di una trasfusione di sangue. Le cellule infuse sono a questo punto in grado di identificare il bersaglio tumorale e distruggerlo definitivamente risparmiando i tessuti sani.
Il processo di ingegnerizzazione genetica delle CAR-T serve a introdurre il materiale genetico necessario per armare i linfociti T contro il bersaglio tumorale da colpire e rendere così le cellule del sistema immunitario dei pazienti in grado di uccidere le cellule tumorali. Ha una durata di circa 4 settimane. Si tratta infatti di un procedimento complesso, che comporta alti standard di sterilità e di controllo delle cellule. Una volta terminata la fase di manipolazione cellulare, il paziente accede in ospedale per l’infusione delle CAR-T, che dura circa una giornata. All’infusione delle CAR-T segue un ricovero di circa 10 giorni. Per prepararsi all’infusione, inoltre, al paziente viene somministrato un trattamento chemioterapico (linfodeplezione) utile a favorire l’attività delle CAR-T al momento dell’infusione.
Oltre al trattamento chemioterapico, i pazienti che presentano forme particolarmente aggressive di malattia sono anche sottoposti a terapie cosiddette “ponte”, che consentono di controllare la quantità di malattia in attesa dell’esecuzione della terapia CAR-T. Il tempo di attesa tra il prelievo delle cellule del paziente e l’ingegnerizzazione delle CAR-T, infatti, può risultare piuttosto lungo, soprattutto in presenza di leucemie acute e linfomi particolarmente aggressivi. In altri casi, per esempio in caso di linfomi indolenti a bassa malignità, la terapia ponte può non essere ritenuta indispensabile.
Il trattamento CAR-T ha una capacità di distruzione delle cellule tumorali altamente superiore ai trattamenti precedenti. Nell’ambito dei linfomi non Hodgkin B diffusi, in un contesto di malattia chemio-refrattaria, circa la metà dei pazienti può raggiungere la guarigione definitiva .
Eccellenti risultati anche nell’ambito del linfoma mantellare non responsivo a due linee di terapie e nel linfoma follicolare.
Promettenti i risultati nell’ambito dei pazienti affetti da mieloma multiplo recidivato refrattario a tre linee di terapia convenzionale, e in arrivo a breve CAR-T sempre più efficaci sin dalla ricaduta dopo la prima linea. Inoltre, va ricordato che per i pazienti in cui le CAR-T falliscono sono oggi possibili in alcuni casi anche altre strade di trattamento ulteriori.
La terapia CAR-T può comportare tuttavia l’insorgenza di due effetti collaterali peculiari e pertanto il suo utilizzo è affidato solo ad alcuni centri selezionati: la sindrome da rilascio di citochine e la neurotossicità sono effetti collaterali e oggi sono gestibili con un protocollo di terapia antinfiammatoria e steroidea molto precoce e sempre meno necessitano il ricovero in terapia intensiva.
Humanitas ha costituito un CAR-T team nel 2019 con personale dedicato e ha infuso a oggi quasi 200 CAR-T, contribuendo in maniera significativa alla valutazione dell’esperienza real life della Società Italiana di Ematologia, mettendo a servizio della comunità scientifica dati sull’efficacia e la tossicità.
Oggi è già possibile concludere il processo di ingegnerizzazione per alcune CAR-T in un tempo minore di 4 settimane, per esempio si possono infondere alcune CAR-T già a 10 giorni dal prelievo delle cellule del paziente. Si tratta di un grande vantaggio, perché consente di evitare la terapia ponte. Inoltre, è anche già possibile anticipare l’utilizzo del trattamento CAR-T a linee di malattia più precoci in alcuni gruppi ad alto rischio, individuando quindi pazienti che possono essere trattati in anticipo con le CAR-T.
The post Come funzionano le cellule CAR-T? appeared first on Humanitas.
Il progetto sulla cura della leucemia mieloide acuta, promosso da Humanitas, ha ricevuto il prestigioso Cracking Cancer Award 2025. In particolare, Humanitas Research Hospital di Milano, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Anna di Ferrara, è stato premiato per il Progetto Lia – Value Based Healthcare dedicato alla Leucemia Mieloide Acuta.
Il modello innovativo proposto dal Progetto Lia per l’assistenza e il contrasto di questo tumore raro offre concreti benefici nella gestione della patologia migliorando la qualità di vita dei pazienti e dei caregiver. Inoltre, permette un risparmio di risorse per il Sistema Sanitario Nazionale, contribuendo a un approccio più efficace ed efficiente nella cura della leucemia mieloide acuta.
Per Humanitas ha ritirato il premio il professor Matteo Giovanni Della Porta, Capo Sezione di Oncologia medica ed Ematologia presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.
La leucemia mieloide acuta è un tumore del sangue, raro e molto aggressivo, che in Italia interessa 2100 persone circa all’anno, in particolare adulti. La leucemia mieloide si sviluppa in sangue, midollo osseo, sistema linfatico e altri tessuti ed è causata da un’alterazione biologica delle cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine), che proliferano in maniera incontrollata. Questa patologia può essere considerata acuta o cronica, in base alla sua velocità di progressione. In particolare, la leucemia mieloide acuta si sviluppa nel midollo osseo e comporta la veloce proliferazione delle cellule immature, ossia i progenitori delle cellule del sangue, che ostacolano così lo sviluppo di cellule normali.
Nella leucemia mieloide acuta le manifestazioni sintomatiche si presentano precocemente e comprendono febbre, stanchezza generalizzata, maggior facilità nella comparsa di ematomi e sanguinamenti. Data la rapida evoluzione della patologia, un intervento tempestivo è fondamentale per migliorare la prognosi e prevenire complicanze gravi.
Il Progetto Lia si è svolto tra giugno e dicembre 2024 presso Humanitas Research Hospital di Milano e Aout Sant’Anna di Ferrara e ha coinvolto 18 clinici e più di 100 pazienti e caregiver. Il modello di Value Based Healthcare (sviluppato da Your Business Partner) introdotto dal progetto per il trattamento della leucemia mieloide acuta ha contribuito a trasformare i percorsi di cura esistenti, migliorandone accessibilità, efficacia e sostenibilità. Il progetto si è articolato tramite interviste semi-strutturate con le persone coinvolte, analisi dei bisogni e workshop di co-design, per individuare un modello di cura efficiente, umano e integrato con il territorio.
Con il modello proposto dal Progetto Lia è stato possibile ridurre del 50% complicanze cliniche e costi di day hospital e diminuire del 20% l’occupazione dei posti letto ospedalieri. La stima di risparmio potenziale complessivo ammonta a circa 17,2 milioni di euro all’anno, un risultato di grande rilevanza considerando l’impatto economico di questa malattia sulle famiglie.
Il progetto Lia prosegue e si estende anzi a livello nazionale, attraverso un’analisi del rischio regionale per adattare il modello alle specificità di ogni territorio, garantendo al contempo gli stessi standard di continuità assistenziale e sicurezza.
The post Leucemia mieloide acuta: premiato il progetto sulla cura di Humanitas appeared first on Humanitas.
Dal 5 maggio i prelievi relativi a percorsi di cura del Cancer Center verranno effettuati presso il Punto Prelievi in via Sardegna 5 (Fizzonasco di Pieve Emanuele – MI), e non più presso il Cancer Center (building 2, primo piano).
È possibile effettuare la prenotazione dell’appuntamento collegandosi alla pagina Prenotazione Prelievi
Dal lunedì al venerdì, dalle 7.00 alle 13.00
Sabato e domenica il Punto Prelievi è chiuso.
Il Punto Prelievi dista circa 800 metri dall’edificio principale.
Per raggiungerlo è necessario imboccare via Manzoni in direzione Milano, superare la rotonda che incrocia via Umbria, proseguire in via Manzoni e alla rotonda girare a destra in via Sardegna. Proseguire quindi in via Sardegna per circa 500 metri.
Cliccando qui è possibile consultare la mappa per raggiungere il Punto Prelievi.
La nuova sede dispone di un ampio parcheggio dedicato, a pochi metri dalla struttura.
The post Il punto prelievi del Cancer Center cambia sede appeared first on Humanitas.
I tumori della testa e del collo interessano le strutture della testa e del collo e le vie aerodigestive superiori. I principali fattori di rischio per i tumori testa-collo sono l’alcol e il fumo e alcune tipologie di virus, tra cui il papilloma virus (HPV) e l’Epstein-Barr virus (EBV). Sono anche considerati fattori di rischio una cattiva igiene orale, un’alimentazione povera di verdura e frutta e l’esposizione a determinate sostanze, in particolare quelle utilizzate professionalmente da chi lavora il legno.
Come si arriva alla diagnosi per questi tumori? Ne parliamo con il professor Paolo Bossi, Capo Sezione di Oncologia Medica – Tumori testa-collo e Tumori della pelle, Spinocellulari e Basocellulari presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.
I tumori testa-collo interessano strutture con funzionalità fondamentali e si suddividono in varie categorie. Riconosciamo infatti:
Trattandosi di aree molto diverse tra loro e con funzioni differenti, la sintomatologia di questi tumori cambia in base alle strutture interessate. In particolare, devono destare sospetto manifestazioni come:
Per diagnosticare i tumori della testa e del collo lo specialista valuta i sintomi riportati dal paziente e le informazioni circa i principali aspetti della sua storia clinica e dello stile di vita (anamnesi). Vengono poi prescritti esami fondamentali per valutare il tipo di tumore e la sua aggressività ed estensione.
Tra questi, gli esami diagnostici più comuni sono l’endoscopia, che identifica eventuali lesioni tramite un endoscopio; l’ecografia, una metodica di diagnostica per immagini a ultrasuoni che serve in particolare a individuare i linfonodi patologici e a valutare i tumori di tiroide e ghiandole salivari; la biopsia, importante esame che esamina un campione di tessuto prelevato sotto anestesia locale o generale per valutare l’aggressività e la tipologia del tumore.
Altri esami diagnostici che possono venire prescritti sono: la risonanza magnetica nucleare (RMN), che si serve di campi magnetici per fornire immagini dettagliate dell’area di interesse ed è utile per definire l’estensione del tumore e i rapporti con le strutture limitrofi; la TAC, un esame radiologico che usa radiazioni ionizzanti per valutare la vascolarizzazione dei tessuti e degli organi e serve a stadiare la malattia; la PET con 18-fluorodesossiglucosio, un esame di medicina nucleare durante il quale viene somministrato un tracciante marcato con una molecola radioattiva che permette di individuare con accuratezza molto elevata la sede di malattia, il coinvolgimento dei linfonodi e le localizzazioni a distanza.
La seconda opinione multidisciplinare è un servizio rivolto a coloro che hanno già ricevuto una diagnosi di tumore testa-collo e desiderano sottoporre i propri referti diagnostici e i risultati dell’esame istologico per un ulteriore consulto specialistico. Offerto dal Cancer Center di Humanitas, il servizio prevede un colloquio da remoto con un team multidisciplinare di specialisti che valutano le eventuali strategie di gestione del caso e le possibilità di trattamento.
Prima di procedere con la prenotazione online, è necessario rispondere ad alcune domande per individuare la tipologia di visita più adatta al singolo caso.
La visita specialistica oncologica testa-collo permette di predisporre accertamenti e impostare una terapia specifica per i pazienti con diagnosi accertata o con sospetto di tumore legato ai risultati di esami medici.
The post La diagnosi dei tumori testa-collo appeared first on Humanitas.