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News Ospedale Humanitas di Rozzano(Milano)

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Humanitas premiato nell’ambito di VaccinAzione 2025
Data articolo:Wed, 15 Oct 2025 09:33:32 +0000

Regione Lombardia, durante l’incontro VaccinAzione di giovedì 2 ottobre, ha riconosciuto Humanitas – tra gli IRCCS privati – come la realtà con la più alta percentuale di professionisti vaccinati per la campagna 2024-2025.

Un numero che racconta quanti dei professionisti Humanitas hanno deciso di aderire alla campagna vaccinale antinfluenzale interna: medici, infermieri e personale sanitario, ma non solo, anche Staff, Servizio Clienti e Ricerca. Un primato che riempie di orgoglio.

Decidere di vaccinarsi non è solo una scelta consapevole, ma un ulteriore esempio di professionalità: un modo concreto per proteggere se stessi e, soprattutto, la salute dei pazienti più fragili che ogni giorno scelgono gli Ospedali e Centri medici Humanitas.

Un sentito ringraziamento anche a tutti coloro che supportano il flusso necessario per dar vita ogni anno alle campagne vaccinali dedicate alla nostra comunità. Questo successo ci motiva a guardare con entusiasmo alla prossima Campagna antinfluenzale, presto in arrivo.

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A cura di mmaestri
Pelle secca e pelle grassa: come riconoscerla e cosa fare
Data articolo:Mon, 13 Oct 2025 10:26:56 +0000

La pelle presenta fisiologicamente zone con diverse quantità di sebo, risultando più grassa o più secca a seconda delle aree. In alcuni casi, possono insorgere disturbi o patologie caratterizzati da un aumento di sebo, secchezza o arrossamenti. In presenza di pelle grassa, pelle secca o pelle arrossata può quindi a volte essere necessario consultare lo specialista dermatologo e mettere in atto alcune accortezze per risolvere il disturbo.

Ne parliamo con la dottoressa Alessandra Narcisi, dermatologa presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano. 

Cos’è la pelle grassa? 

La pelle grassa è caratterizzata da un aumento di produzione di sostanze oleose e grasse, che rendono la pelle più lucida alla vista. Interessa sia la popolazione maschile sia quella femminile e si sviluppa prevalentemente nella zona centrale del viso, anche chiamata “zona T”, ossia fronte, naso e mento. 

Spesso la pelle grassa si associa alla comparsa di dermatite seborroica, una patologia infiammatoria della pelle che comporta l’arrossamento dell’area interessata e una fine desquamazione e che si sviluppa soprattutto su area T del volto e la regione presternale, ma che può estendersi anche al cuoio capelluto. La dermatite seborroica tende a peggiorare nei mesi invernali, per lo stress o in presenza di infezioni di origine batterica o virale.

Come aver cura della pelle grassa? 

La pelle grassa va trattata con prodotti specifici. È fondamentale eseguire una buona detersione della cute al mattino e alla sera, utilizzando creme o detergenti non eccessivamente idratanti, né che impoveriscono il film idrolipidico, che possono provocare un aumento dell’infiammazione. Lo specialista può indicare l’utilizzo di creme astringenti, utili a regolare la produzione di sebo, e shampoo associati, in particolare nel periodo invernale, a lozioni a base di acido acetilsalicilico o altri prodotti a prescrizione dermatologica. 

Perché si ha la pelle secca? 

La pelle secca contiene una concentrazione inferiori di lipidi e altre sostanze presenti negli strati meno superficiali dell’epidermide, che servono a nutrire la cute. La causa della pelle secca può essere l’invecchiamento cutaneo, che provoca la diminuzione di alcune sostanze, ma anche abitudini sbagliate, come l’utilizzo di prodotti cosmetici non adatti alla propria pelle, detergenti troppo aggressivi, o una scarsa idratazione della cute. 

Anche patologie dermatologiche come la dermatite atopica possono associarsi alla pelle secca. In presenza della dermatite atopica, per esempio, l’aumento della secchezza della pelle dipende da un’alterazione della produzione delle molecole della barriera cutanea. In questo caso in genere lo specialista prescrive una terapia specifica per risolvere il disturbo. 

Cosa fare in caso di pelle secca? 

La pelle secca va idratata con prodotti specifici, come creme idratanti che restituiscono alla cute i lipidi e le altre sostanze che sono carenti rispetto alla norma. Non si devono invece utilizzare olii, perché tendono a rimanere sugli strati superficiali della cute dando un’errata impressione di idratazione ma contribuendo invece ad aumentare la disidratazione. In presenza di patologie come la dermatite atopica, lo specialista indica l’uso di prodotti privi di allergeni, associati a volte alla terapia farmacologica. 

Si può parlare di pelle mista? 

Il termine “pelle mista” particolarmente utilizzato in ambito cosmetico, non è in realtà corretto da un punto di vista medico. Si utilizza in genere per riferirsi a una pelle che non presenta aspetti patologici di eccesso di sebo o secchezza, ma che in alcune aree è più seborroica e in altre più secca. In genere le aree più grasse sono quelle della zona T, quindi come abbiamo detto fronte, dorso del naso e mento, mentre aree come guance e palpebre possono invece presentare secchezza cutanea, sia a causa di una cosmesi non adeguata, sia perché hanno naturalmente una quantità inferiore di ghiandole sebacee. 

Come si riconosce il proprio tipo di pelle? 

Spesso i pazienti al momento della visita dermatologica conoscono già le caratteristiche della propria pelle. Una persona con una pelle particolarmente grassa, quindi molto oleosa, o con una pelle secca tende infatti a individuare il disturbo già al domicilio. A creare confusione, possono invece essere manifestazioni come la desquamazione.

Un paziente con dermatite seborroica, caratteristica di una pelle grassa, per esempio, può presentare arrossamento e sottile desquamazione ai lati del naso, intorno alle labbra, intorno alle sopracciglia o sul cuoio capelluto, ma associare il sintomo alla pelle secca e non a un aumento di sebo. Questo errore può indurre a trattare l’area con creme o shampoo molto idratanti, rischiando così di peggiorare il disturbo. 

Quali sono le cause della pelle arrossata?

La pelle arrossata si associa a svariati fattori. Per esempio una causa comune è l’utilizzo di prodotti troppo idratanti, anche da parte di persone molto giovani che applicano creme antirughe pensate per un pubblico più adulto e che, invece di migliorare la salute della pelle, possono provocare irritazione e comparsa di acne. Inoltre, anche l’utilizzo di scrub o peeling casalinghi possono associarsi a arrossamento cutaneo. La pelle può essere anche interessata da patologie infiammatorie, come la dermatite atopica, un disturbo che in genere esordisce fin dall’infanzia, o da dermatiti irritative provocate da allergie o dermatiti allergiche da contatto. 

Cosa fare se si hanno macchie rosse sulla pelle? 

In presenza di macchie rosse persistenti sulla pelle è consigliabile effettuare una visita dermatologica perché gli arrossamenti possono associarsi a patologie come la dermatite seborroica, la dermatite atopica o dermatiti da contatto. Spesso i pazienti arrivano in sede di visita con una pelle trattata con creme o farmaci da banco o creme cortisoniche, che in realtà inquinano il quadro diagnostico. 

In questo caso lo specialista può richiedere di sospendere la terapia per qualche settimana, portando a una riacutizzazione di malattia, in modo da poter valutare adeguatamente lo stato di salute della cute. In ogni caso, in presenza di macchie rosse persistenti che non si risolvono con l’utilizzo di una crema idratante e che non hanno cause note, è opportuno fare riferimento allo specialista dermatologo.

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A cura di Valeria Leone
Cattiva circolazione: i sintomi della trombosi
Data articolo:Fri, 10 Oct 2025 12:27:41 +0000

Il sangue si distribuisce nel nostro corpo grazie al sistema circolatorio che è costituito da arterie e vene. Le arterie trasportano il sangue ossigenato nei polmoni a tutti gli organi, irrorandoli e rigenerandoli in modo da garantirne le funzioni. Le vene invece sono deputate al trasporto del sangue “sporco”, cioè carico delle scorie prelevate dai vari organi, da questi organi ai polmoni, dove vengono scambiate con nuovo ossigeno in un continuo circolo. 

Vi sono delle malattie, che conosciamo come trombosi, che possono compromettere il buon funzionamento della circolazione sanguigna, con insorgenza di eventi patologici anche importanti.

In occasione della Giornata mondiale della trombosi il prossimo 13 ottobre gli specialisti del Centro Trombosi saranno presenti con un banchetto informativo dedicato alla prevenzione degli eventi vascolari trombotici presso il building 2 dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas dal 13 al 17 ottobre dalle ore 10.00 alle ore 13.00.

Ne parliamo con il professor Corrado Lodigiani, Responsabile del Centro Trombosi e Malattie Emorragiche dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Trombosi arteriosa: quali sono i sintomi

Le trombosi possono colpire sia le arterie, sia le vene e i sintomi percepiti dal paziente sono differenti. 

L’ostruzione di un vaso arterioso determina una sintomatologia diversa in funzione dell’organo verso cui l’arteria è diretta. 

Le trombosi arteriose più comuni sono l’ictus cerebrale, provocato da una trombosi di un’arteria che porta il sangue al cervello e che comporta manifestazioni come disturbi del linguaggio, della sensibilità e del movimento, e l’infarto del miocardio, provocato da una trombosi di un’arteria che porta il sangue al cuore (coronaria) e che comporta invece dolore toracico e/o al giugulo, irradiato al braccio sinistro e talvolta associato a mancanza di respiro e nausea.

La trombosi si può tuttavia più raramente sviluppare a carico di un’arteria di un qualsiasi altro organo, come l’intestino,  il fegato, il rene, la milza, l’occhio oppure interessare gli arti. In questi casi il sintomo più importante è un dolore molto intenso associato ad altre manifestazioni correlate all’alterato funzionamento dell’organo colpito.

I sintomi della trombosi venosa

Quando a essere colpite da trombosi sono le vene, si verificano principalmente manifestazioni provocate dall’impossibilità del sangue a refluire dagli organi, proprio a causa dell’occlusione delle vene che dovrebbero trasportarlo. I sintomi più comuni sono in questi casi dolore e aumento di volume dell’area interessata, come nella forma più frequente che è la trombosi agli arti inferiori.  

In alcuni casi si verifica l’embolia polmonare, una delle complicanze più severe della trombosi venosa, caratterizzata da sintomi come mancanza di respiro, tosse ed espettorazione di sangue e dovuta nella maggior parte dei casi alla frammentazione di un trombo formatosi nelle vene degli arti e alla sua embolizzazione (embolo) nelle arterie del polmone attraverso il cuore stesso. 

Più raramente la trombosi colpisce una vena del cervello (trombosi venosa cerebrale) oppure degli organi addominali (trombosi venosa splancnica) e in questi casi il sintomo più comune è un dolore molto intenso e persistente nell’area colpita.

Trombosi: fattori di rischio e prevenzione

Per la trombosi arteriosa prevalgono i cosiddetti fattori di rischio cardiovascolari, tra cui:

Nella trombosi venosa questi fattori di rischio, pur influendo, hanno un’importanza minore. Tra i fattori di rischio più importanti si riconoscono invece:

  • interventi chirurgici (soprattutto in mancanza di un’adeguata profilassi)
  • ricoveri ospedalieri e/o allettamento prolungato
  • sedentarietà
  • insufficienza venosa (vene varicose)
  • obesità
  • tumori
  • difetti congeniti/ereditari della coagulazione del sangue che danno una tendenza del sangue a coagulare di più (trombofilia)
  • alcune terapie farmacologiche, come gli estroprogestinici anticoncezionali o sostitutivi dopo la menopausa, i cortisonici utilizzati a dosi elevate e per tempo molto prolungato e alcune chemio e immunoterapie per la cura del cancro.

Come si diagnostica la trombosi

A una prima visita di valutazione con lo specialista internista o con lo specialista in malattie cardiovascolari o di Pronto Soccorso potrebbero seguire alcuni esami utili ad una diagnosi definitiva.

In particolare, per diagnosticare la trombosi venosa si svolgono abitualmente: 

  • prelievo venoso per dosaggio del d-dimero: se negativo si può escludere una trombosi venosa acuta
  • ecocolordoppler venoso per la trombosi degli arti 
  • TAC torace con mdc per diagnosticare l’embolia polmonare 
  • TAC addome con mdc per la trombosi dei vasi addominali
  • visita oculistica e fluorangiografia (nel sospetto di trombosi venosa dell’occhio).

Per diagnosticare la trombosi arteriosa si eseguono:

  • Elettrocardiogramma e specifici esami del sangue (nel sospetto di infarto del miocardio)
  • Ecocolordoppler arterioso nel sospetto di ischemia di un arto
  • TAC encefalo nel sospetto di ictus cerebrale
  • TAC addome con mdc nel sospetto di trombosi di organi addominali 
  • visita oculistica e fluorangiografia (nel sospetto di trombosi arteriosa dell’occhio).

Quali esami eseguire per la prevenzione della trombosi?

Si tratta di un tema rilevante in quanto le malattie da trombosi rappresentano ancora la principale causa di morte e malattia nei paesi occidentali.

In un caso su tre la trombosi è prevenibile. 

Sia nel caso della trombosi arteriosa, sia in quello della trombosi venosa, alcuni fattori di rischio sono modificabili attraverso il comportamento. 

In particolare, la prevenzione consiste nel praticare abitualmente attività fisica, mantenere un peso corporeo ottimale, mantenere entro gli intervalli di riferimento la pressione, i lipidi, il colesterolo e la glicemia e correggere l’insufficienza venosa qualora dovesse verificarsi.

Gli esami diagnostici più utili per la prevenzione:

  • visita con uno specialista esperto in malattie cardiovascolari (internista, ematologo della coagulazione, cardiologo o chirurgo vascolare)
  • Ecocolordoppler dei tronchi sovraaortici (ECDTSA)
  • Ecocolordoppler arterioso arti inferiori
  • Ecocardiogramma 
  • TAC cuore con mezzo di contrasto o RMN cuore da stress
  • Esami ematici per controllo colesterolo, trigliceridi, glicemia, uricemia e in casi selezionati screening di trombofilia. 

Come si cura la trombosi 

Per la trombosi arteriosa e quella venosa si seguono due percorsi terapeutici differenti. 

In presenza di trombosi arteriosa il paziente viene trattato acutamente in Pronto Soccorso con farmaci o procedure mirate a sciogliere il trombo nel minor tempo possibile (farmaci fibrinolitici, angioplastica percutanea con o senza stent, trombectomia meccanica per via interventistica o chirurgica). Nella fase post acuta o cronica con farmaci antiaggreganti piastrinici, che aiutano a fluidificare il sangue inibendo la funzione delle piastrine, che sono le cellule che compongono la parte cellulare del sangue deputate alla coagulazione del sangue stesso. 

Per la trombosi venosa, invece, si usano in fase acuta e meglio in Pronto Soccorso farmaci anticoagulanti che vanno a inibire quelle proteine (fattori della coagulazione) che, se attivate, sono responsabili della coagulazione definitiva del sangue e quindi della formazione di un coagulo, somministrati per  via endovenosa o sottocute (eparine) o ora anche orali (anticoagulanti orali diretti) e in più rari casi farmaci fibrinolitici o procedure interventistiche di trombectomia (rottura del trombo) quando la circolazione deve essere ripristinata in tempi brevi. Nella fase post acuta o cronica si usano nella maggior parte dei casi i farmaci anticoagulanti orali diretti e in rari casi anticoagulanti sottocute come le eparine a basso peso molecolare. 

Da segnalare, da questo punto di vista, che sono oggi in fase di sperimentazione nuovi farmaci anticoagulanti diretti contro il fattore XI, una proteina della coagulazione. Si tratta di farmaci innovativi, che dai dati a nostra disposizione risultano efficaci per sciogliere i trombi sia arteriosi che venosi e sembrerebbero esporre il paziente a un rischio estremamente basso di eventi emorragici che rimangono la complicanza più temibile delle terapie antitrombotiche.

Visita specialistica – Centro trombosi

La visita specialistica – Centro trombosi permette di accedere a un servizio clinico specializzato nella prevenzione, diagnosi e cura delle malattie da trombosi venosa e arteriosa.

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A cura di mmaestri
Il dolore nelle malattie reumatologiche: manifestazioni e cure
Data articolo:Thu, 09 Oct 2025 14:10:05 +0000

Le malattie reumatologiche in Italia colpiscono milioni di persone e frequentemente si manifestano con dolore dell’apparato locomotore (articolazioni, ossa, muscoli). Il dolore rimane infatti il sintomo cardine e definire la sua localizzazione è importante anche per una corretta diagnosi. 

Ne parliamo con il professor Carlo Selmi, Responsabile dell’Unità di Reumatologia e Immunologia Clinica in Humanitas e docente di Humanitas University.

È fondamentale distinguere le principali modalità del dolore perché la classificazione condiziona diagnosi, indagini e trattamento. Oltre ai due tipi di dolore classicamente noti, ovvero quello legato a un danno (nocicettivo/infiammatorio) e quello legato a un nervo (neuropatico, come nel caso della sindrome del tunnel carpale), è ora ben riconosciuto il dolore nociplastico.

Negli ultimi anni, infatti, la letteratura scientifica ha formalizzato il concetto di dolore nociplastico: un tipo di dolore che emerge da alterazioni nella trasmissione e modulazione del segnale doloroso (alterata nocicezione), anche in assenza di danno tissutale evidente o di lesione nervosa periferica. Questo meccanismo è tipicamente presente nella fibromialgia di cui costituisce il disturbo principale, ovvero il dolore diffuso a tutto il corpo, ma può coesistere con meccanismi infiammatori o degenerativi nelle artriti e nell’artrosi, rendendo il dolore più generalizzato, persistente e meno responsivo ai classici analgesici o antiinfiammatori. 

Artrite e artrosi: caratteristiche del dolore 

Quando si parla di artrite (es. artrite reumatoide o psoriasica) il dolore è più spesso infiammatorio: peggiora a riposo, durante la notte e nelle prime ore del mattino, con rigidità mattutina significativa e possibile tumefazione articolare. 

Le attuali linee guida EULAR (European Alliance of Associations for Rheumatology) raccomandano un approccio precoce e intensivo con farmaci DMARD (Disease Modifying Antirheumatic Drugs – farmaci in grado di modificare l’andamento della malattia) sia sintetici che biologici e una valutazione personalizzata del rischio-beneficio (per esempio cautela nell’uso di JAK-inibitori in pazienti con fattori di rischio cardiovascolare od oncologico, alla luce di recenti avvertenze regolatorie). 

Nell’artrosi il dolore è tipicamente meccanico: tende a migliorare con il riposo, è associato a rigidità mattutina breve (<30 minuti) e raramente a marcato gonfiore infiammatorio. I fattori di rischio includono età, genere femminile, sovrappeso, sovraccarico meccanico e familiarità.

Sebbene non esistano attualmente farmaci sistemici universalmente accettati in grado di arrestare la progressione strutturale dell’artrosi, alcuni interventi migliorano il dolore e la funzione: esercizio mirato, perdita di peso, terapia fisica, eventualmente infiltrazioni articolari (cortisonici o acido ialuronico, con evidenza variabile) e, nei casi avanzati, la chirurgia protesica. 

Fibromialgia e dolore nociplastico

La fibromialgia è considerata un disturbo del processamento del dolore a livello del sistema nervoso centrale. Il dolore della fibromialgia è cronico, diffuso e persistente, spesso descritto come sordo, gravativo o urente, con la sensazione di interessare “tutto il corpo”. Non deriva da un’infiammazione articolare o da un danno tissutale, ma da un’alterata elaborazione dei segnali dolorosi a livello del sistema nervoso centrale, motivo per cui viene definito dolore nociplastico. 

È tipicamente associato a ipersensibilità agli stimoli, tanto che anche una lieve pressione può risultare dolorosa. Il dolore si accompagna a stanchezza, disturbi del sonno e difficoltà cognitive, con andamento fluttuante e peggioramenti legati a stress, sforzi fisici o condizioni climatiche.

La gestione della fibromialgia richiede un approccio multimodale: esercizio graduale e supervisionato, educazione del paziente, terapie cognitivo-comportamentali e, quando indicati, farmaci centrali (es. duloxetina, pregabalin, alcuni antidepressivi inibitori della ricaptazione della noradrenalina e della serotonina/antidepressivi triciclici). Il trattamento farmacologico spesso ha un effetto moderato; l’attenzione alla qualità del sonno, all’attività fisica e al supporto psicologico è essenziale. 

Valutazione clinica moderna del dolore

Oggi si raccomanda una valutazione multidimensionale del dolore che includa: intensità, caratteristiche (nocicettivo/neuropatico/nociplastico), impatto funzionale, screening per sensibilizzazione centrale (per esempio Central Sensitization Inventory — CSI), co-morbilità psichiatriche, sonno e fatica. Questo orienta l’uso di trattamenti multimodali mirati. 

Per il dolore cronico muscolo-scheletrico (compresa la componente nociplastica) sono indicate terapie farmacologiche centrali come la duloxetina, che ha evidenza per dolore osteoarticolare cronico e fibromialgia. Gli interventi non farmacologici (esercizio fisico personalizzato, terapia fisica, educazione, terapia cognitivo comportamentale, tecniche di igiene del sonno) sono fondamentali, soprattutto quando è presente una componente nociplastica: questi approcci modulano il processamento centrale del dolore e migliorano funzione e qualità di vita.

In conclusione distinguere i meccanismi del dolore è cruciale per pianificare la cura. Nei processi infiammatori precoci, la terapia di fondo può prevenire il danno articolare e ridurre il dolore cronico. In presenza di dolore diffuso, affaticamento, disturbi del sonno o sintomi cognitivi è bene sospettare una componente nociplastica/centralizzata e attuare un approccio multimodale. Occorre informare i pazienti sui benefici di esercizio fisico, controllo del peso e terapia psicosociale; i problemi di rischio per alcuni farmaci (es. JAKi) devono essere discussi e documentati.

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A cura di mmaestri
Al via il mese della prevenzione senologica: in Humanitas torna “Sorrisi in Rosa”. Incontri, arte e prevenzione
Data articolo:Thu, 09 Oct 2025 10:16:29 +0000

Taglio del nastro per la nuova edizione di Sorrisi in Rosa, iniziativa nata nove anni fa grazie alla visione della fotografa Luisa Morniroli e della scrittrice Cristina Barberis Negra, con il contributo dei senologi Humanitas. Il progetto intende accendere i riflettori sull’importanza della diagnosi precoce e della prevenzione del tumore al seno, partendo dal racconto diretto di donne che hanno vissuto la malattia o sono in cura.

Oggi 150 donne che hanno seguito un percorso oncologico negli ospedali Humanitas fanno parte della comunità di Sorrisi in Rosa. Fulcro dell’iniziativa è la mostra fotografica, che ogni anno si arricchisce di nuove storie e volti: ritratti di donne avvolte in sciarpe rosa e testimonianze scritte che trovano spazio negli ospedali e nei centri Humanitas Medical Care in Lombardia, Piemonte e Sicilia. Ma non solo: il mese della prevenzione è animato da un calendario di iniziative a Milano, Bergamo, Torino, Castellanza, Catania. Consulti gratuiti, sessioni di make up, incontri divulgativi ed eventi sportivi sono consultabili a questo link.

Tra gli appuntamenti da non perdere a Milano: sabato 18 ottobre, dalle 9:00 alle 15:00 presso il Centro Congressi di Humanitas, “Mamazone – Paziente diplomata”, che ha l’obiettivo di fornire tutte le conoscenze e gli strumenti necessari per affrontare i cambiamenti del corpo a seguito di una diagnosi di tumore al seno e nelle varie fasi del processo di cura.

Sorrisi in Rosa 2025 è parte di Pink Union di Fondazione Humanitas per la Ricerca e ha il patrocinio del Comune di Rozzano, delle associazioni aBRCAdaBRA, Amiche per Mano, Europa Donna, Il filo della vita, LILT Milano e Bergamo, Mettiamoci le tette, Fondazione ONDA, Pink Amazon e WALCE.

Breast Unit, tanti volti, un solo obiettivo: la salute delle donne

In Italia il carcinoma mammario rimane la neoplasia più diffusa con circa 60.000 nuove diagnosi ogni anno. La diagnosi precoce e la ricerca sono armi fondamentali, sottolineano i clinici della Breast Unit dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas: dalle nuove terapie oncologiche personalizzate ai progressi della radioterapia, fino ai percorsi post-oncologici di ricostruzione mammaria, l’obiettivo è migliorare non solo la sopravvivenza, ma anche la qualità di vita delle pazienti. Il primo passo resta sempre la prevenzione, che in Humanitas e nei Centri Humanitas Medical Care di Milano oggi può contare sul supporto di sistemi di Intelligenza Artificiale per migliorare la qualità e l’efficacia degli esami mammografici.

Se esiste una cura, è perché c’è la Ricerca

Sorrisi in Rosa è parte di Pink Union di Fondazione Humanitas per la Ricerca, il progetto a sostegno della salute femminile che rappresenta l’impegno di medici e ricercatori che ogni giorno lavorano per aprire nuove strade alla cura delle patologie tipicamente femminili.

Durante il mese di ottobre, Fondazione Humanitas per la Ricerca sostiene il nuovo studio clinico BRAIN TRIAL, promosso da Humanitas e guidato dalla prof.ssa Daniela Bernardi, responsabile di Radiologia Senologica e Screening di Humanitas, per migliorare la diagnosi senologica e studiare percorsi diagnostici più mirati nelle donne con lesioni dubbie alla mammella, focalizzandosi in particolare sul ruolo delle biopsie.

Lo studio ha l’obiettivo valutare se i sistemi di Intelligenza Artificiale applicati all’ecografia mammaria possano aiutare a riclassificare correttamente alcune lesioni candidate ad un approccio bioptico, permettendo di evitare questo esame, senza compromettere la diagnosi dei tumori.

Un esempio di Ricerca con un grosso potenziale di impatto sul percorso delle donne con tumore al seno e la loro qualità di vita è NEONOD 2, coordinato dal prof. Corrado Tinterri, Direttore della Breast Unit dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas, e dalla Prof.ssa Marta Scorsetti, Responsabile di Radioterapia e Radiochirurgia. Avviato nel 2020, è il primo progetto multicentrico in Europa che valuta l’impatto della conservazione dei linfonodi con minimo residuo tumorale dopo chemio-immunoterapia neoadiuvante. La rimozione dei linfonodi ascellari, quando necessaria, causa spesso un sovvertimento del normale deflusso della linfa dal braccio al tronco e nel 20-40 % dei casi provoca diversi gradi di linfedema (braccio grosso) che spesso rimane definitivo con gravi disagi e sindromi dolorose e infettive secondarie. Per questo i risultati potrebbero avere un grande impatto sulla vita di migliaia di donne.

NEONOD 2, i cui risultati preliminari saranno presentati a dicembre nel prestigioso convegno internazionale San Antonio Breast Cancer Symposium, è stato reso possibile anche grazie ad alcune aziende come DHL Express Italy, leader mondiale nei servizi di logistica, che ha creduto fortemente nel valore della Ricerca.

La prevenzione è un atto di cura verso se stessi che, per noi, si traduce in un gesto di responsabilità verso le nostre persone. In DHL Express Italy crediamo che attraverso iniziative sul territorio e campagne di sensibilizzazione, ad ogni livello, possiamo contribuire a rafforzare il valore del sé” – dichiara Antonella Sada, Head of Public Affairs, Brand & Communications and Sustainability di DHL Express Italy. “Ogni iniziativa che promuove il benessere ed ogni supporto offerto è come un seme di consapevolezza. Il nostro scopo ‘Connettere le persone e migliorare le vite’ trova pieno significato in momenti come questo, che rappresentano un seme che potrà prosperare. E oggi, insieme, abbiamo piantato qualcosa che continuerà a crescere”.

Il legame tra Ricerca e Cura è possibile grazie all’impegno di medici e ricercatori e grazie al sostegno dei cittadini che, durante la dichiarazione dei redditi, decidono di destinare il 5×1000 a Humanitas. Ogni persona può fare tanto: per sostenere la Ricerca di Humanitas nella dichiarazione dei redditi basta firmare nel campo “Ricerca Sanitaria” e scrivere il codice fiscale 10125410158.

Tra le pieghe della vita

Connessioni, emozioni, cura. In occasione di Sorrisi in Rosa 2025, è stata inaugurata l’opera collettiva “Tra le pieghe della vita”, realizzata dalla Scuola di Terapia Artistica dell’Accademia di Belle Arti di Brera, in collaborazione con Humanitas. All’origine, gli incontri tra studenti, studentesse e le donne di Sorrisi in Rosa per promuovere la consapevolezza sul tumore al seno e il valore della condivisione e della prevenzione.

Ogni partecipante ha dipinto pezzi di carta utilizzando tecniche miste come acquerello e acrilico. I fogli sono stati poi combinati per creare cerchi, mescolando le opere di più persone per sottolineare l’importanza della condivisione e del sostegno reciproco. Le partecipanti hanno avuto la libertà di scegliere se utilizzare i pennelli o le proprie mani e hanno avuto la possibilità di scrivere una parola o un pensiero all’interno delle pieghe della carta. Queste pieghe non solo hanno protetto il messaggio, ma hanno rappresentato anche il rafforzamento della carta, evocando simbolicamente la resilienza e la forza personale di chi le ha create.

L’installazione artistica sarà esposta per tutto ottobre nel Building 2 dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas, nei pressi della mostra di foto-racconti di Sorrisi in Rosa. Guarda il video:

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A cura di mmaestri
Ottobre: il mese della prevenzione dentale nel Dental Center IRCCS Istituto Clinico Humanitas
Data articolo:Wed, 08 Oct 2025 07:53:37 +0000

Un bel sorriso è un biglietto da visita importante per le nostre relazioni, ma dietro l’estetica si nasconde una componente fondamentale della salute generale. L’igiene orale non riguarda solo i denti: è parte integrante del benessere dell’intero organismo.

Ottobre, tradizionalmente dedicato alla prevenzione dentale, è il momento ideale per riflettere su come proteggere al meglio la nostra bocca e, di conseguenza, la salute complessiva.

L’importanza della prevenzione dentale costante

La prevenzione odontoiatrica è una necessità. Patologie come la carie e la parodontite non sono eventi inevitabili, ma disturbi prevenibili con buone abitudini e controlli regolari. Un’accurata igiene quotidiana, che comprende spazzolino, filo interdentale e scovolino, è la prima linea di difesa.

La placca batterica, una pellicola incolore che si forma sui denti, è la causa principale di quasi tutti i problemi orali. Se non rimossa, si trasforma in tartaro, un deposito duro che irrita le gengive e favorisce l’insorgenza di infiammazioni.

Parodontite e carie: dati e rischi

La parodontite, o piorrea, è una malattia infiammatoria cronica che colpisce i tessuti di supporto del dente, portando alla loro progressiva distruzione e, nei casi più gravi, alla perdita dei denti. Il recente studio Global Burden of Periodontal Diseases (1990–2021) ha analizzato l’impatto globale delle malattie parodontali nella fascia di età lavorativa (15–69 anni), stimando oltre 951 milioni di casi nel 2021, con un trend globale in aumento dal 1990.

Dati recenti pubblicati sulla rivista Journal of Dental Research mostrano correlazioni significative tra parodontite e malattie sistemiche come il diabete, l’artrite reumatoide e persino disturbi cardiovascolari. Nei tessuti gengivali, preda di infiammazione provocata dai batteri della placca, si formano delle sostanze che possono infatti entrare nel flusso sanguigno e raggiungere altri organi.

Come spiega il Prof. Roberto Weinstein, Direttore Scientifico di Denti e Salute, “La bocca è un organo in comunicazione costante con tutto l’organismo. Ignorare un’infiammazione gengivale o trascurare una carie significa aumentare il rischio di sviluppare patologie molto più gravi”.

La carie rimane una delle patologie più diffuse: si stima che fino all’80% degli italiani possa svilupparne almeno una nella vita. È un processo distruttivo del tessuto duro del dente causato da acidi prodotti dai batteri che metabolizzano gli zuccheri. I principali fattori di rischio includono dieta ricca di zuccheri, igiene inadeguata e scarsa esposizione al fluoro.

Il ruolo insostituibile del dentista e delle tecnologie di prevenzione dentale

Le buone abitudini a casa non bastano. Le visite di controllo periodiche dal dentista permettono di diagnosticare precocemente problematiche che, se trattate tempestivamente, richiedono interventi meno invasivi e costosi.

Durante questi appuntamenti, il professionista può individuare problemi in fase iniziale, quando sono più facili da trattare. Inoltre, la pulizia dei denti professionale (ablazione del tartaro e della placca batterica) è l’unico modo per rimuovere i depositi di tartaro che lo spazzolino non può eliminare.

Tuttavia, un’indagine di Altroconsumo ha rivelato che tre italiani su dieci non effettuano controlli regolari.

Oggi l’odontoiatria preventiva integra strumenti avanzati: diagnostica digitale, sistemi per la rilevazione precoce delle lesioni cariose, e laser per trattamenti minimamente invasivi.

L’odontoiatria preventiva non si limita a curare, ma a educare e a proteggere, offrendo una visione a lungo termine della salute orale.

Come supportiamo la prevenzione dentale

Nel Dental Center IRCCS Istituto Clinico Humanitas, l’approccio è multidisciplinare: valutazione clinica, igiene professionale, piani di mantenimento personalizzati e programmi educativi per pazienti di tutte le età.

Non sottovalutare la potenza di un gesto semplice come lavarsi i denti: è un investimento nel futuro. Approfitta di questo mese e vieni a trovarci il 9 e 23 ottobre per le giornate dedicate alla prevenzione!

Prenota una visita odontoiatrica:

  • Dental Center IRCCS Istituto Clinico Humanitas
  • Via Alessandro Manzoni 56, Rozzano
  • Telefono: 02 82246868
  • Direttore Sanitario per i Servizi Odontoiatrici: Dott. Robles Rodriguez Sergio

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A cura di mmaestri
Tiroide: cosa significa se il TSH è alto?
Data articolo:Tue, 07 Oct 2025 12:25:04 +0000

L’ormone tireostimolante, o TSH, ha la funzione fondamentale di stimolare la tiroide a produrre gli ormoni necessari al corretto funzionamento del metabolismo. Un livello di TSH superiore alla norma può indicare la presenza di ipotiroidismo, una condizione caratterizzata da un rallentamento dei processi metabolici dovuto a una ridotta produzione di ormoni tiroidei.

Ne parliamo con il professor Andrea Lania, Responsabile dell’Unità di Endocrinologia e Diabetologia presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, e con la dottoressa Sofia Ballarini, specializzanda in Endocrinologia.

Che cos’è l’ormone tireostimolante (TSH)?

L’ormone tireostimolante, o TSH (tireotropina), è prodotto dall’ipofisi, una ghiandola situata alla base del cervello, sotto l’ipotalamo. La sua funzione è stimolare la tiroide a produrre e rilasciare gli ormoni T3 (triiodotironina) e T4 (tiroxina), indispensabili per il corretto funzionamento del metabolismo.

T3 e T4 influenzano numerose funzioni dell’organismo, tra le quali la funzionalità cardiaca e digestiva, la salute delle ossa, il tono e la forza muscolare, e lo sviluppo cerebrale durante la vita fetale e i primi anni di vita.

La secrezione di TSH è regolata da un delicato meccanismo di feedback tra ipotalamo, ipofisi e tiroide, nell’ambito del sistema endocrino.

TSH alto: cosa significa?

Valori di TSH più alti rispetto alla norma possono indicare ipotiroidismo, un disturbo legato a una produzione insufficiente di T3 e T4. Quando i livelli di questi ormoni si riducono, l’ipofisi aumenta la secrezione di TSH nel tentativo di stimolare maggiormente la tiroide.

Tra le cause più comuni di ipotiroidismo vi è la tiroidite di Hashimoto, una malattia autoimmune. Più raramente, un TSH elevato può dipendere da un problema dell’ipofisi stessa, come un adenoma ipofisario, ma in questo caso i livelli di T3 e T4 sono elevati.

Nelle donne in gravidanza, il monitoraggio dei livelli di TSH è particolarmente importante: la presenza di una ridotta funzione tiroidea testimoniata dall’aumento del TSH può aumentare il rischio di complicanze e di aborto spontaneo.

TSH alto: quali sono i sintomi?

L’aumento del TSH si associa nella maggior parte dei casi a ipotiroidismo. I sintomi più frequenti sono:

A cosa serve l’esame del TSH?

Il dosaggio del TSH viene eseguito per individuare eventuali disturbi della tiroide, monitorare patologie già diagnosticate, valutare la funzionalità dell’ipofisi (con il contemporaneo dosaggio di FT4 e FT3), effettuare lo screening neonatale dell’ipotiroidismo congenito, approfondire casi di infertilità femminile.

L’esame consiste in un prelievo di sangue dal braccio (oppure da una puntura sul tallone nei neonati) e non richiede digiuno preventivo, a differenza di altri esami ematici. Chi è in terapia sostitutiva con levotiroxina deve effettuare il prelievo prima dell’assunzione del farmaco.

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A cura di Valeria Leone
Miocardite: cos’è e quali sono i sintomi
Data articolo:Tue, 07 Oct 2025 09:23:53 +0000

La miocardite è un’infiammazione del tessuto muscolare del cuore (miocardio). Si tratta di un disturbo con sintomatologia e prognosi molto variabili, che in molti casi va incontro a remissione completa, ma in alcuni casi può compromettere significativamente la funzionalità del cuore, con possibili esiti infausti.

Ne parliamo con il dottor Davide Romagnolo, cardiologo dell’Unità di Cardiologia Clinica e Interventistica e UCC dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Miocardite: quali sono i sintomi

La sintomatologia della miocardite acuta comprende manifestazioni molto diverse tra loro. Sebbene in alcuni casi possa decorrere in maniera quasi del tutto asintomatica, accompagnata solo da sintomatologia aspecifica (stanchezza, malessere generale), nella maggior parte dei casi si presenta con sintomi simili a quelli di un infarto miocardico, ovvero dolore toracico di varia intensità, associato ad alterazioni dell’elettrocardiogramma e degli indici di laboratorio di necrosi cardiaca (troponina, mioglobina e creatina-chinasi).

In altri casi, la prima presentazione può essere aritmica, ovvero manifestarsi con alterazioni del ritmo cardiaco di vario genere e gravità, che possono determinare svenimenti o, più raramente, l’arresto cardiaco e la morte cardiaca improvvisa. In altri casi ancora, il sintomo predominante è la mancanza di fiato (dispnea), causata da una ridotta capacità contrattile del ventricolo sinistro, che determina un accumulo di liquido a livello polmonare e, nei casi più gravi, shock con necessità di ricovero in terapia intensiva con necessità di supporto meccanico e/o farmacologico al circolo.

Nelle settimane o nei giorni che precedono la miocardite acuta, può inoltre insorgere una sintomatologia simil-influenzale, con febbre, mal di gola, disturbi delle vie respiratorie e/o disturbi gastrointestinali.

Le cause della miocardite

La miocardite acuta può essere determinata da svariate cause. Nella maggior parte dei casi, le miocarditi sono dovute a infezioni virali (Coxsackievirus, HIV, Adenovirus, Coronavirus) mentre è relativamente raro il coinvolgimento di agenti infettivi come batteri, funghi o protozoi. In questi casi l’infiammazione del muscolo cardiaco può essere determinata sia dalla citotossicità diretta del germe che comporta la morte cellulare sia da un’eccessiva risposta immunitaria dell’organismo contro le sue stesse cellule infettate dal virus.

In altri casi, la miocardite può associarsi a sindromi allergiche, infiammatorie e autoimmunitarie sistemiche, quali il lupus eritematoso sistemico, la sarcoidosi e l’artrite reumatoide, o insorgere anche a seguito dell’utilizzo di sostanze o farmaci cardiotossici e immunomodulanti, come alcuni chemioterapici.

Infine, anche tipi di cardiomiopatie possono attraversare delle fasi di infiammazione acuta (hot phases) associate spesso a importanti disturbi del ritmo cardiaco.

Come si cura la miocardite?

Il trattamento della miocardite acuta dipende principalmente dalla causa sottostante il disturbo, che va pertanto prontamente riconosciuta e rimossa. In alcuni casi specifici, quando la causa è un’eccessiva risposta immunitaria, si può ricorrere a una terapia immunosoppressiva, che riduce le difese immunitarie dell’organismo, con farmaci come corticosteroidi o inibitori di specifici mediatori proinfiammatori endogeni (citochine).

In ogni caso è generalmente raccomandato il ricovero in ambito ospedaliero, sia per somministrare la terapia, sia per monitorare il decorso della patologia e riconoscere tempestivamente eventuali complicanze. In casi particolarmente gravi potrebbe essere necessario il ricovero in terapia intensiva, per intervenire sulle aritmie o fornire supporto al sistema circolatorio.

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A cura di mmaestri
Botulino: i sintomi dell’intossicazione e come evitarla
Data articolo:Mon, 06 Oct 2025 09:53:36 +0000

Il botulino è una delle intossicazioni più pericolose per l’essere umano. Le tossine prodotte dal batterio Clostridium botulinum possono infatti provocare conseguenze gravissime, fino alla paralisi respiratoria e alla morte. La difficoltà maggiore sta nel riconoscerne i sintomi: nelle fasi iniziali, infatti, l’intossicazione può sembrare una comune gastroenterite, con il rischio di sottovalutarla. 

Ne parliamo con il professor Michele Bartoletti, responsabile dell’Unità operativa di Infettivologia dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Botulino: cos’è?

Con il termine botulino ci si riferisce al batterio Clostridium botulinum, un microrganismo anaerobio in grado di produrre tossine altamente pericolose. Non è il batterio in sé a causare l’intossicazione, bensì le sue tossine, che possono svilupparsi in ambienti poveri di ossigeno. Gli alimenti conservati in modo scorretto rappresentano la fonte principale di contaminazione. Anche ferite contaminate o pratiche sanitarie scorrette possono favorire l’ingresso del batterio nell’organismo. 

Il botulismo può manifestarsi in diverse forme.

La forma più comune è il botulismo alimentare, legata soprattutto al consumo di conserve fatte in casa, carne o pesce in scatola e salumi contaminati.

Il botulismo infantile interessa i bambini sotto l’anno di età, che possono ingerire le spore e sviluppare l’infezione nell’intestino.

Il botulismo da ferita, invece, compare quando le spore penetrano in una lesione, per esempio tramite ferite contaminate o l’uso di siringhe non sterili.

Il botulismo negli adulti ha le stesse caratteristiche di quello infantile.

Infine il botulismo iatrogeno è dovuto a un uso improprio della tossina botulinica in ambito medico o estetico.

Botulino: sintomi

I sintomi si presentano generalmente entro 18-36 ore dall’ingestione della tossina, ma possono comparire anche dopo diversi giorni.

Nella fase iniziale ricordano quelli di una gastroenterite:

Con il progredire dell’intossicazione, però, emergono segnali più gravi: 

  • difficoltà a deglutire e a parlare
  • visione sdoppiata o annebbiata
  • secchezza della bocca
  • palpebre cadenti
  • difficoltà respiratorie
  • paralisi progressiva dei muscoli.

Nei lattanti i sintomi si presentano in modo diverso:

  • stitichezza persistente
  • debolezza muscolare e movimenti rallentati
  • difficoltà a tenere la testa alzata
  • voce debole o soffocata
  • difficoltà a succhiare
  • palpebre cadenti
  • irritabilità. 

Botulino e conserve: le regole di prevenzione

La prevenzione è la strategia più efficace contro il botulismo, in particolare quello di origine alimentare. Prima di tutto, bisogna evitare il consumo di cibi sospetti: non consumare alimenti conservati in contenitori rigonfi o che all’apertura non producono il tipico “clac” del sottovuoto. 

Bisogna poi seguire regole precise nelle conserve fatte in casa.

  • Per le verdure: cuocere in acqua e aceto in parti uguali, invasare e successivamente pastorizzare i barattoli in acqua bollente per circa 15-20 minuti nel caso di contenitori da 350–400 grammi;
  • per marmellate e confetture: usare frutta e zucchero in quantità uguali o aggiungere succo di limone se si riduce lo zucchero, fino a raggiungere un pH superiore a 4,6;
  • per olive e salamoie: rispettare la proporzione di 100 g di sale per ogni litro d’acqua;
  • per quanto riguarda carne e pesce conservati, è bene ricordare che senza un’adeguata acidificazione o salatura, il rischio di proliferazione batterica è molto alto. 

Infine, è sempre necessario lavare accuratamente mani e utensili durante la preparazione degli alimenti.

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A cura di mmaestri
Dermatite atopica: le cause e come si cura
Data articolo:Fri, 03 Oct 2025 12:47:21 +0000

La dermatite atopica (o eczema) è una patologia infiammatoria cronica che colpisce la pelle con chiazze arrossate e pruriginose. La sua presenza può avere un impatto importante sulla qualità della vita di chi ne soffre, anche perché le lesioni possono interessare aree visibili, come il volto o le mani e per l’intenso prurito.

Quali sono le cause della dermatite atopica e come si cura? Ne parliamo con la dottoressa Alessandra Narcisi, dermatologa presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Dermatite atopica: i sintomi

La dermatite atopica può colpire aree diverse del corpo: in età infantile si osserva più spesso sul volto, braccia e gambe, mentre dall’adolescenza e in età adulta tende a localizzarsi su volto, collo, e dorso delle mani.

Le lesioni inizialmente si presentano con eritema, vescicole ed essudazione; dopodiché compaiono desquamazione, croste e un ispessimento della cute con secchezza, tipico delle fasi croniche.

Il prurito è un sintomo costante e spesso difficile da gestire.

Le cause della dermatite atopica

Alla base della dermatite atopica vi è una combinazione di fattori genetici e ambientali. La pelle presenta una barriera cutanea alterata e un’alterazione dell’immunità innata cutanea, che la rende più esposta agli stimoli ambientali. In queste persone, il sistema immunitario “iperattivo” tende a rispondere in maniera esagerata agli agenti esterni e allo stress, come di fronte a una reazione allergica, anche in presenza di stimoli minimi.

Come viene diagnosticata la dermatite atopica?

La diagnosi è in gran parte clinica: lo specialista dermatologo si basa sull’osservazione dei segni cutanei e sulla raccolta dell’anamnesi familiare e personale. Durante la visita specialistica viene anche valutata l’estensione e la gravità della malattia, così da impostare la terapia più appropriata.

Se vi sono comorbidità associate, come rinite, asma, poliposi nasale o disturbi gastrointestinali come l’esofagite eosinofila, può essere utile la misurazione delle IgE totali e specifiche. Questi esami non servono a confermare la diagnosi di dermatite atopica, ma possono rivelare allergie non ancora diagnosticate, permettendo di definire un percorso di cura e prevenzione più mirato. È importante sottolineare che solo in una minoranza di pazienti la dermatite peggiora a causa dell’esposizione ad allergeni alimentari o inalanti. Per questo motivo, eliminare certi alimenti dalla dieta senza indicazione medica e test appropriati va evitato.

Negli adulti che sviluppano eczema per la prima volta, può rendersi necessario escludere una dermatite allergica da contatto attraverso l’esecuzione dei patch test.

Come prevenire la dermatite atopica?

Chi soffre di dermatite atopica deve prendersi cura quotidianamente della propria pelle. In particolare, nei periodi in cui la malattia è più attiva, l’applicazione frequente di emollienti contribuisce a ristabilire la barriera cutanea. È altrettanto importante evitare l’esposizione a sostanze o materiali che possono irritare la pelle, come saponi schiumogeni o tessuti ruvidi.

Per prevenire le riacutizzazioni, si può:

  • ridurre i tempi di esposizione all’acqua, preferendo la doccia al bagno e utilizzando acqua tiepida;
  • scegliere detergenti privi di tensioattivi schiumogeni: questi agenti lavanti rimuovono i lipidi naturali della pelle e favoriscono l’infiammazione;
  • asciugarsi tamponando delicatamente, senza strofinare;
  • applicare emollienti anche più volte al giorno, soprattutto dopo la detersione, evitando però le zone infiammate;
  • preferire fibre naturali come il cotone, evitando cuciture spesse o etichette che possano irritare;
  • esporsi al sole con attenzione, usando sempre la protezione solare adeguata al proprio tipo di pelle.

Dermatite atopica: come si cura

La gestione della dermatite atopica si basa su una prevenzione attenta delle riacutizzazioni, attraverso una routine quotidiana di idratazione e protezione della pelle. Quando la malattia si acutizza o si cronicizza, possono essere necessari trattamenti farmacologici.

Per le forme lievi, si utilizzano:

  • corticosteroidi topici, da applicare localmente sulle aree colpite;
  • immunomodulatori topici, che rappresentano un’alternativa ai corticosteroidi nelle terapie prolungate o su aree delicate;
  • fototerapia, indicata in caso di coinvolgimento cutaneo esteso.

Nei casi moderati o gravi si può ricorrere a immunosoppressori sistemici come la ciclosporina, in grado di ridurre rapidamente infiammazione e prurito. Questo farmaco viene prescritto per periodi limitati, per minimizzare i rischi legati a un uso prolungato. Se la malattia si ripresenta dopo il trattamento o se la ciclosporina non è adatta al paziente è possibile impiegare farmaci biologici: anticorpi monoclonali, somministrati per via sottocutanea, che bloccano l’attivazione dell’IL-4 e/o dell’IL-13, o farmaci orali (JAK inibitori) a bersaglio molecolare.

Cura della dermatite atopica: l’evento in Humanitas

Mercoledì 15 ottobre alle ore 17:00 presso il Centro Congressi dell’IRCCS Humanitas di Rozzano, sì terrà l’evento MyDA (con il patrocinio di ANDeA – Associazione Nazionale Dermatite Atopica) dedicato alle persone con dermatite atopica. La dottoressa Alessandra Narcisi incontrerà i pazienti interessati con l’obiettivo di presentare il nuovo approccio per raggiungere il livello minimo di malattia (Minimal Disease Activity), riducendo al minimo l’impatto della dermatite atopica sulla quotidianità.

La partecipazione è gratuita ed è aperta a pazienti con dermatite atopica e caregiver, previa registrazione al sito https://myda-registrazione.it.


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A cura di mmaestri
Cuore: i sintomi da non sottovalutare
Data articolo:Mon, 29 Sep 2025 07:53:59 +0000

Con rischio cardiovascolare si intende la probabilità che una persona incorra in eventi cardiovascolari maggiori, come l’infarto del miocardio o l’ictus cerebrale. Le patologie cardiovascolari, che interessano cuore e vasi sanguigni, rappresentano oggi la prima causa di morte in Italia e nei paesi sviluppati. Si tratta di malattie multifattoriali, determinate da vari fattori di rischio, modificabili o non modificabili. Conoscere il proprio rischio, e correggere i fattori di rischio che lo determinano adottando modifiche dello stile di vita e facendo ricorso a terapie farmacologiche mirate, se indicate, può contribuire a ridurre l’insorgenza di patologie cardiovascolari.

Ne parliamo con il dottor Davide Romagnolo dell’Unità di Cardiologia Clinica e Interventistica e UCC dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Quali sono i fattori di rischio cardiovascolare

La valutazione del rischio cardiovascolare è una parte fondamentale della visita cardiologica perché consente allo specialista di individuare le persone maggiormente esposte a possibili eventi cardiovascolari e mettere così in atto strategie preventive adeguate, basate su modifiche dello stile di vita ed, eventualmente, terapie farmacologiche.  

I fattori di rischio cardiovascolare sono suddivisi in fattori di rischio modificabili e fattori di rischio non modificabili.

I fattori di rischio modificabili sono quelli su cui è possibile intervenire attivamente per ridurre il rischio cardiovascolare, e comprendono:

  • alterazioni dell’omeostasi glucidica e lipidica (per esempio in caso di dislipidemia o diabete mellito)
  • fumo di sigaretta
  • pressione arteriosa più alta della norma (ipertensione)
  • sedentarietà
  • sovrappeso e obesità
  • stress.

I fattori di rischio non modificabili sono, invece, quelli su cui non è possibile intervenire e comprendono:

  • età
  • familiarità, ovvero predisposizione ereditaria a sviluppare malattie cardiovascolari
  • sesso maschile.

Cuore: i sintomi cui prestare attenzione

I sintomi che rappresentano un campanello d’allarme per l’insorgenza di patologie cardiovascolari e in presenza dei quali si deve chiedere immediata assistenza medica sono:

  • angina pectoris: un dolore toracico al centro del petto, spesso descritto come un “peso” o una “morsa”, che talvolta si irradia alla gola o all’arto superiore sinistro e che viene tipicamente esacerbato da sforzi
  • dispnea: ovvero mancanza di fiato
  • palpitazioni: percezione di battiti accelerati, rallentati o irregolari
  • sincope: svenimento improvviso con pronta ripresa di coscienza.

Altri sintomi da non sottovalutare sono:

  • affaticamento (astenia)
  • sudorazione fredda
  • mal di stomaco
  • malessere generale
  • vertigini.

Come misurare la frequenza cardiaca

La frequenza cardiaca è espressa dal numero di pulsazioni cardiache (ovvero contrazioni del cuore) al minuto. Il modo più semplice per misurare la frequenza cardiaca è l’auscultazione o la palpazione diretta dei polsi. Tra gli altri strumenti che possono aiutare a identificare la presenza di un battito cardiaco accelerato o rallentato ci sono il pulsossimetro (o saturimetro) e alcuni apparecchi automatizzati per misurare la pressione arteriosa.

Rischio cardiovascolare e stile di vita

Per ridurre il rischio cardiovascolare è fondamentale intervenire sullo stile di vita. Per quanto riguarda l’alimentazione, la dieta mediterranea è un formidabile alleato della salute cardiovascolare. Occorre quindi prediligere il consumo di grassi “buoni”, come quelli contenuti negli oli vegetali nobili, come l’olio extravergine d’oliva, e consumare cibi ricchi di acidi grassi omega 3, come pesce azzurro, salmone, noci e mandorle. Si consiglia inoltre di preferire i cibi a basso indice glicemico, come i cereali integrali ed i legumi, e limitare invece gli zuccheri semplici, come i dolci. È importante poi consumare grandi quantità di verdura e frutta: almeno cinque porzioni al giorno, come indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Da limitare il più possibile invece il consumo di grassi animali ed alimenti ricchi di colesterolo, quali carni rosse, latticini, uova e crostacei.

Anche l’attività fisica è importante per il benessere cardiovascolare. In particolare, le linee guida della Società Europea di Cardiologia suggeriscono di svolgere un’attività aerobica (camminata veloce, bicicletta, corsa, nuoto) per almeno 300 minuti a settimana. In questo modo si possono combattere i principali fattori di rischio cardiovascolare: fare attività fisica regolarmente, infatti, contribuisce a ridurre la pressione arteriosa, migliorare la tolleranza allo sforzo, ridurre l’insulino-resistenza, ridurre l’accumulo di colesterolo e grassi e migliorare il benessere psicofisico.

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A cura di mmaestri
Let’s talk with Sorrisi in Rosa: la prevenzione del tumore al seno raccontata dalle donne
Data articolo:Fri, 26 Sep 2025 10:09:45 +0000

Ottobre, mese della prevenzione senologica, porta in Humanitas l’iniziativa Sorrisi in Rosa. Il progetto, ideato nove anni fa dalla fotografa Luisa Morniroli e dalla scrittrice Cristina Barberis Negra in collaborazione con i medici delle Breast Unit di Humanitas, mira a sensibilizzare sul tumore al seno attraverso le testimonianze di donne che hanno affrontato la malattia e il percorso di cura. Ad oggi, 150 pazienti degli ospedali Humanitas di Rozzano, Milano, Bergamo, Torino, Castellanza e Catania hanno aderito al progetto, diventando portavoce e testimonial della campagna.

Mercoledì 8 ottobre, alle ore 11, l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas apre le porte a “Let’s talk with Sorrisi In Rosa”, evento gratuito presso l’Auditorium del Centro Congressi di Rozzano. Un varietà dal ritmo incalzante, che unisce testimonianze, il racconto dei progressi della Ricerca, le ultime novità cliniche per la cura e la diagnosi di quello che resta il tumore più diffuso tra le donne, in Italia.

Protagoniste della mattinata, le fondatrici di Sorrisi in Rosa accompagnate da Gerry Scotti, da sempre testimonial del progetto, e dai medici della Breast Unit di Humanitas. Tra gli ospiti, Antonella Sada, Head of Public Affairs, Brand&Communications and Sustainability di DHL Express Italy, che supporta incondizionatamente l’evento, e alcuni studenti e studentesse dell’Accademia di Belle Arti di Brera che presenteranno un’installazione artistica realizzata ispirandosi alle testimonianze dei Sorrisi in Rosa. Il progetto di arte sarà esposto in tutte le sedi degli ospedali Humanitas.

Per partecipare è necessario accreditarsi:


Il Festival di Sorrisi in Rosa: prevenzione, condivisione e Ricerca

L’evento di ottobre dà il via al Festival di Sorrisi in Rosa. Anima centrale del progetto è da sempre la mostra fotografica, composta da ritratti di donne e racconti, che ogni anno torna con nuove testimonial per vestire gli ospedali Humanitas e i centri Humanitas Medical Care in Lombardia, Piemonte e Sicilia. Foto e racconti di speranza esposti in grande formato lì dove possono fare la differenza, dando coraggio a donne che ricevono la diagnosi di tumore al seno o stanno seguendo un percorso di cura.

Il calendario di iniziative 2025 che prevede consulti gratuiti, sessioni di make up, incontri divulgativi ed eventi sportivi è online a questo link.

Sorrisi in Rosa è parte di Pink Union by Fondazione Humanitas per la Ricerca, ente no profit presieduto dal Prof. Alberto Mantovani, che nel 2025 celebra i 20 anni di attività. Se vuoi scoprire come sostenere la Ricerca visita il sito: Pink Union – Fondazione Humanitas per la Ricerca

LET’S TALK WITH SORRISI IN ROSA

  • Mercoledì 8 ottobre 2025   
  • Ore 11:00 – 13:00
  • Auditorium Centro Congressi Humanitas (Sala E)
  • Via Manzoni 113, Rozzano
  • Prenotazione gratuita a questo link.

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A cura di mmaestri
Tiroide: cosa sono e a cosa servono FT3 e FT4
Data articolo:Thu, 25 Sep 2025 11:18:09 +0000

Gli ormoni tiroidei sono prodotti dalla ghiandola tiroide e svolgono un ruolo centrale nel metabolismo. I due principali sono la triiodotironina (T3) e la tiroxina (T4). Nel sangue, gran parte di questi ormoni circola legata a proteine; solo una piccola quota è libera e biologicamente attiva. Quando si parla di FT3 (Free T3) e FT4 (Free T4), ci si riferisce appunto alle forme libere, quelle che esercitano gli effetti reali sull’organismo. Alterazioni nella produzione o nei livelli di FT3 e FT4 possono portare a disturbi metabolici e a una serie di sintomi legati a squilibri ormonali. 

Ne parliamo con il professor Andrea Lania, Responsabile dell’Unità di Endocrinologia e Diabetologia presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, e con la dottoressa Sofia Ballarini, specializzanda in Endocrinologia. 

A cosa servono FT3 e FT4? 

FT3 e FT4 sono indispensabili per il corretto funzionamento di numerosi processi dell’organismo. 

In particolare:

  • regolano lo sviluppo del cervello e del sistema nervoso, soprattutto durante l’infanzia
  • influenzano il metabolismo energetico e il consumo di calorie, incidendo su peso corporeo e livello di energia
  • controllano la contrattilità muscolare
  • regolano la frequenza cardiaca e la temperatura corporea
  • influenzano la motilità intestinale, cioè la velocità di transito del cibo nell’apparato digerente
  • stimolano il rinnovamento cellulare di pelle e ossa, contribuendo alla loro salute. 

Cosa significa un’alterazione di FT3 e FT4? 

Un’alterazione dei livelli di FT3 e FT4 ha effetti diretti sul metabolismo, che può diventare troppo lento (ipotiroidismo) o troppo veloce (ipertiroidismo). 

È importante rivolgersi al medico in caso di sintomi come: 

  • variazioni di peso improvvise (aumento o calo)
  • battito cardiaco accelerato o rallentato
  • ciclo mestruale irregolare
  • ipersensibilità al caldo o al freddo
  • pelle insolitamente secca o, al contrario, più umida. 

Questi squilibri possono essere collegati a patologie del sistema ipotalamo-ipofisi-tiroide. 

Tra i disturbi tiroidei più frequentemente associati a valori alterati di FT3 e FT4 vanno ricordati il gozzo, l’ipotiroidismo e l’ipertiroidismo, malattia di Graves, tiroidite di Hashimoto e altre forme di tiroidite.

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A cura di Valeria Leone
Lesione del menisco: sintomi e cure
Data articolo:Thu, 25 Sep 2025 11:15:50 +0000

I menischi sono strutture anatomiche di forma semicircolare costituite da tessuto fibrocartilagineo, situate tra il femore e la tibia all’interno del ginocchio.

La funzione principale dei menischi è quella di “ammortizzatore” tra femore e tibia, distribuendo i carichi biomeccanici conseguenti al peso corporeo su una superficie più ampia dei piatti tibiali durante la stazione eretta, il passo, la corsa ecc. Inoltre, insieme ai legamenti, contribuiscono alla stabilità articolare. 

Proprio per queste loro funzioni di ammortizzatori e stabilizzatori articolari, i menischi sono soggetti a usura e a lesioni. La gravità e il tipo di lesione dipendono dall’età e dallo stile di vita e, di conseguenza, la scelta del trattamento varia.

Di solito, nelle persone più giovani si preferisce l’intervento chirurgico, mentre nelle persone più anziane è consigliato un trattamento conservativo. 

Abbiamo approfondito l’argomento con il dottor Enrico Arnaldi, Responsabile di Ortopedia artroscopica e ricostruttiva del ginocchio in Humanitas.

Le cause della lesione del menisco

Il menisco può lesionarsi principalmente a causa di traumi o conseguentemente a processi degenerativi.

I traumi, che possono variare in gravità, sono più comuni nelle persone tra i 15 e i 35 anni e spesso coinvolgono altre strutture del ginocchio. Questi traumi sono tipicamente associati ad attività sportive come lo sci, il calcio e il basket che comportano movimenti di rotazione e/o torsione brusche, con cambi improvvisi di direzione, che mettono sotto stress l’articolazione. 

I traumi su base degenerativa, invece, interessano solitamente persone di età superiore ai 40 anni, spesso a causa di lavori fisicamente usuranti o di un’attività sportiva amatoriale prolungata, come la corsa.

In questi casi, il ginocchio che viene sottoposto a stress continui nel tempo, può lesionarsi per traumi di minore entità rispetto a quelli che possono verificarsi durante attività quotidiane apparentemente banali, come alzarsi da una sedia o salire le scale.

Menisco: i sintomi da non sottovalutare

Il primo sintomo di un trauma o micro-trauma al menisco è un dolore acuto accompagnato da un suono di “schiocco” nell’articolazione, localizzato nella parte interna o esterna del ginocchio, seguito spesso da una sensazione di cedimento o di instabilità. Successivamente, si può avvertire dolore e gonfiore nella zona interessata e nel corso dei giorni l’articolazione potrebbe bloccarsi, impedendo movimenti semplici.

In presenza di sospetta lesione al menisco, è consigliabile consultare uno specialista. La diagnosi di solito viene formulata attraverso una visita ortopedica e una serie di test clinici. Per valutare le condizioni effettive del menisco e la natura della lesione (se degenerativa e se suscettibile di riparazione), può essere necessario eseguire una risonanza magnetica.

Come trattare la lesione del menisco?

Se la lesione del menisco si verifica in un paziente di età superiore ai 40 anni, viene preferito un approccio conservativo al trattamento. La chirurgia, infatti, nota come meniscectomia selettiva, potrebbe accelerare il processo di usura articolare (artrosi) dopo il trattamento chirurgico. 

Il trattamento conservativo prevede l’uso di eventuali infiltrazioni di acido ialuronico e una modifica dello stile di vita da parte del paziente. In caso di sovrappeso è bene intraprendere un percorso per ridurre il peso corporeo al fine di alleviare il carico sull’articolazione, mentre coloro che praticano regolarmente attività fisica dovrebbero considerare una riduzione o un cambiamento delle attività per ridurre lo stress sulla zona del ginocchio. 

In età giovanile, di solito si preferisce invece la chirurgia riparativa, poiché il tessuto meniscale ha una buona capacità di guarigione.

Pertanto, quando possibile, si cerca sempre di conservare il menisco attraverso la riparazione chirurgica. Se la riparazione non è fattibile, la meniscectomia deve limitarsi a una rimozione parziale del menisco, evitando la completa asportazione, per preservare al meglio la funzionalità articolare.

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A cura di cmaddaleni
Ictus: i sintomi e come prevenirlo
Data articolo:Thu, 25 Sep 2025 11:12:54 +0000

L’ictus è una patologia cerebrovascolare provocata dalla rottura o dall’ostruzione di un vaso sanguigno cerebrale: il mancato o ridotto apporto di ossigeno che si verifica in caso di ictus provoca una sofferenza temporanea o la morte dei neuroni e delle altre cellule del sistema nervoso centrale, con una conseguente alterazione delle funzioni cerebrali che si manifesta in maniera improvvisa. L’ictus può essere ischemico, quindi essere causato dall’ostruzione di un’arteria, oppure emorragico, ovvero provocato da un sanguinamento dovuto alla rottura di un vaso sanguigno. In entrambi i casi, l’evento può condurre a disabilità e talvolta a un esito infausto. 

Uno stile di vita sano e un controllo regolare della propria salute contribuiscono a ridurre il rischio di insorgenza di ictus. Con quali sintomi si manifesta un ictus e come prevenirlo? Ne parliamo con la dottoressa Francesca Vodret, specialista di Neurologia d’urgenza e Stroke Unit dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Ictus: quali sono i sintomi

Non bisogna mai sottovalutare la comparsa improvvisa di alcuni sintomi, come:

  • Perdita di forza o di sensibilità ad una mano, un braccio o una gamba
  • Comparsa di asimmetria della bocca
  • Difficoltà a parlare e a ricordare le parole
  • Difficoltà visive, per esempio un restringimento del campo visivo da un lato
  • Mal di testa insorto rapidamente e non noto in precedenza.

In presenza di uno di questi sintomi è bene contattare immediatamente il 112 per essere portati in Pronto Soccorso, poiché nell’ictus è fondamentale non perdere tempo e intervenire il più rapidamente possibile.

È importante sapere che talvolta i sintomi tipici dell’ictus durano solo alcuni minuti e poi scompaiono da soli. Si parla in questi casi di attacco ischemico transitorio (TIA), che è un vero e proprio campanello di allarme per un ictus. Devono essere considerati con la massima attenzione e anche in questo caso è fondamentale una valutazione neurologica urgente in Pronto Soccorso.

Alimentazione, stile di vita e attività fisica: fondamentali per la prevenzione

Quando si parla di prevenzione, la dieta, intesa come tipologia di alimentazione, e l’attività fisica sono due punti cardine a cui prestare attenzione. Parlando di alimentazione, la dieta mediterranea, ricca di frutta, verdura, legumi e cereali integrali, e povera di sale e di cibi altamente processati o zuccherati, è considerata la migliore da seguire per ridurre il rischio di insorgenza di ictus. 

Importante anche l’attività fisica: la sedentarietà è infatti considerata un rischio per lo sviluppo delle patologie cardiovascolari e cerebrovascolari. È consigliato quindi fare sport regolarmente, magari chiedendo consiglio allo specialista sulle attività più adeguate da praticare in base alle proprie condizioni cliniche.

Condurre uno stile di vita sano è il modo migliore per prevenire le patologie vascolari e ricordiamo che questo significa anche abolire il fumo di sigaretta o l’utilizzo di dispositivi elettronici per fumare, controllare il peso corporeo, moderare il consumo di alcolici e gestire lo stress.

Visite di controllo: uno strumento importante

In generale, per tenere sotto controllo il rischio di insorgenza di patologie cerebrovascolari, è importante seguire fin dall’età pediatrica le visite di controllo previste dai programmi sanitari della propria Regione e del proprio Paese. 

Sappiamo come le condizioni sociali, economiche e culturali abbiano spesso un impatto importante sulla salute individuale e sull’aumento di rischio di sviluppare determinate patologie.

Sottoporsi a regolari controlli medici permette di rilevare precocemente i fattori di rischio dell’ictus quali pressione alta, iperglicemia, aumento del colesterolo, alterazioni della tiroide o aritmie cardiache, e poter impostare delle terapie di prevenzione ad hoc. 

Quando si parla di ictus, è fondamentale controllare regolarmente la pressione arteriosa, chiedendo consiglio su modalità e tempistiche al proprio medico di medicina generale. Nel caso venga diagnosticata l’ipertensione arteriosa è fondamentale seguire con attenzione le terapie antipertensive prescritte, per evitare un aumento di rischio di ictus.

L’ictus nella popolazione femminile 

Le donne possono presentare un incremento nel rischio di sviluppare ictus quando sono presenti disturbi come insufficienza ovarica prematura, menopausa precoce ed endometriosi. Anche durante la gravidanza aumenta il rischio di sviluppare alterazioni della pressione ed emorragie intracerebrali. Per questo è fondamentale eseguire la misurazione della pressione sia durante la gravidanza sia dopo il parto.

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Tromboembolismo venoso: che cos’è e quali sono i sintomi
Data articolo:Thu, 25 Sep 2025 11:10:46 +0000

Il tromboembolismo venoso (TEV) è una malattia grave, provocata dalla formazione di coaguli di sangue nelle vene in cui circola il sangue e che può comportare seri rischi per la vita delle persone. Il tromboembolismo venoso è la terza patologia cardiovascolare più frequente dopo l’infarto del miocardio e ictus o stroke ed è caratterizzata dal verificarsi di due condizioni cliniche in particolare, tra loro associate, la trombosi venosa profonda (TVP), dovuta alla formazione di un coagulo in una vena profonda in genere agli arti inferiori, oppure l’embolia polmonare, causata dalla migrazione del coagulo frammentato dalla vene degli arti fino a polmone. 

Quali sono i segni e i sintomi da cui riconoscere il tromboembolismo venoso? Ne parliamo con il professor Corrado Lodigiani, Responsabile del Centro Trombosi e Malattie Emorragiche presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano. 

Trombosi venosa profonda ed embolia polmonare: due condizioni correlate

Il tromboembolismo venoso può comportare due diverse manifestazioni, che sono tra loro strettamente associate: trombosi venosa profonda ed embolia polmonare.

La trombosi venosa profonda interessa le vene profonde, in genere delle gambe e, più di rado, di cervello (trombosi venosa cerebrale), addome o braccia. Il coagulo di sangue (trombo) che si forma nella vena è un aggregato solido di piastrine, globuli rossi e globuli bianchi che impediscono il normale flusso sanguigno. 

L’embolia polmonare, invece, si verifica quando un coagulo che si è formato in una vena, in genere degli arti inferiori, si frammenta in parti più piccole (emboli) che vengono trasportate dalla circolazione sanguigna nei polmoni, dove bloccano il flusso del sangue provocando l’infarto polmonare (embolia). 

Quali sono i sintomi del tromboembolismo venoso?

Trombosi venosa profonda ed embolia polmonare si possono riconoscere da alcuni sintomi caratteristici. 

In particolare, se la trombosi venosa profonda si verifica negli arti possono manifestarsi:

  • arrossamento o calore della cute
  • dolore (spesso al polpaccio)
  • gonfiore a un arto
  • senso di pesantezza e tensione (spesso al polpaccio).

Se la trombosi venosa interessa in cervello la persona potrebbe presentare:

  • cefalea atipica
  • confusione
  • convulsioni
  • debolezza a un arto
  • difficoltà a parlare
  • disturbi visivi
  • nausea e vomito
  • sintomi neurologici.

I sintomi della trombosi addominale più comuni sono:

L’embolia polmonare, invece, si manifesta con:

  • dispnea o respiro accelerato a insorgenza improvvisa
  • dolore intenso al torace, in particolare quando si respira profondamente
  • sensazione di svenimento
  • tachicardia
  • tosse (con o senza espettorazione di sangue).

Quali sono i fattori di rischio associati al tromboembolismo venoso?

Il tromboembolismo venoso può interessare persone con caratteristiche molto diverse, ma ci sono alcuni fattori di rischio che possono aumentarne l’insorgenza e a cui è opportuno prestare attenzione. Colpisce infatti in particolare persone che hanno familiarità (consanguinei di 1 grado) o con trombofilia (difetti congeniti o acquisiti), persone con più di 60 anni, persone con mobilità ridotta o che sono costrette a immobilità prolungata (come chi deve fare voli aerei lunghi o persone allettate a causa di una malattia o ricoveri in ospedale) pazienti oncologici e che stanno effettuando terapie antitumorali.

Anche chi assume una terapia ormonale estroprogestinica (contraccettivi orali, terapia ormonale postmenopausa) e chi si è sottoposto a un ricovero ospedaliero o un intervento chirurgico in tempi recenti è maggiormente a rischio, così come le persone con obesità o in gravidanza. Inoltre, anche il fumo di sigaretta e il consumo di alcolici soprattutto se associati a obesità e sovrappeso aumentano il rischio di avere un evento. 

Come prevenire il tromboembolismo venoso

Una volta valutato, se possibile con uno specialista, il rischio individuale di sviluppare il tromboembolismo venoso, è utile mettere in atto alcuni accorgimenti. Per esempio è consigliato praticare attività fisica in maniera continuativa e in particolare, quando si sta seduti a lungo, bisogna ricordarsi di muovere le gambe regolarmente e in ogni caso (ma soprattutto durante lunghi viaggi aerei della durata maggiore di 5-6 ore) di idratarsi. Se durante e dopo un ricovero ospedaliero il medico ha prescritto l’utilizzo di calze elastiche compressive o farmaci anticoagulanti, è necessario seguire scrupolosamente la prescrizione. 

Tra i fattori di rischio del tromboembolismo venoso bisogna prestare particolare attenzione ai ricoveri ospedalieri (che sono causa del 60% circa dei casi di TEV). Nella maggior parte dei casi, infatti, i ricoveri ospedalieri comportano una riduzione della mobilità per allettamento del paziente o convalescenza o, in presenza di interventi chirurgici, possono associarsi a traumi ai vasi sanguigni. 

Per questo, è importante al momento del ricovero accertarsi che il personale sanitario effettui una valutazione del proprio rischio di sviluppare tromboembolismo venoso e quali sono le opzioni di prevenzione più adatte alla propria condizione clinica.

Infatti il tromboembolismo venoso è una patologia grave e frequente ma spesso assolutamente prevenibile e quindi evitabile. Sapere che può accadere e come prevenirla e, nel caso si verifichi riconoscerla, è già un primo passo fondamentale.

Visita specialistica – Centro trombosi

La visita specialistica – Centro trombosi permette di accedere a un servizio clinico specializzato nella prevenzione, diagnosi e cura delle malattie da trombosi venosa e arteriosa.

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